Campo di concentramento di Chiesanuova (Padova)

Campo di concentramento di Chiesanuova (Padova)

 

Chiesanuova è un sobborgo di Padova (oggi integrato al resto della città) vicino al cimitero Maggiore, in direzione di Vicenza. Alla fine di giugno del 1942, vi fu aperto un campo di concentramento per internati civili jugoslavi, principalmente sloveni, allestito nei locali dell’attuale caserma Romagnoli.

Comandato dal tenente colonnello Dante Caporali, il campo disponeva di sei grandi padiglioni in muratura, di dieci locali minori, ed era circondato da un muro perimetrale di quattro metri d’altezza, intervallato ai quattro angoli da garitte per le sentinelle. Ognuno dei sei padiglioni — sottoposto al comando di un ufficiale — costituiva un settore autonomo. Ciascun settore, a sua volta, era costituito da due «file» (o reparti), ognuna delle quali comprendeva sei cameroni, comunicanti l’uno con l’altro senza sbarramenti di sorta. Al di là dell’ultimo camerone vi erano le latrine e un grande lavatoio collettivo.

I primi internati — 1429, tutti di sesso maschile e originari, per la gran parte, della «Provincia di Lubiana» — giunsero a Chiesanuova il 14 agosto 1942 per trasferimento da Monigo. A un mese dall’apertura del campo, il numero dei reclusi raggiungeva le 2129 presenze; ma, tra ottobre e novembre, circa 1500 internati venivano trasferiti nei campi di Renicci e di Arbe. Al loro posto, quindi, subentravano la maggior parte degli «internati militari» jugoslavi precedentemente reclusi nel «campo minore» di Gonars. Successivamente, a partire dal gennaio ‘43, giungevano diversi altri trasporti che, in estate, avrebbero portato il totale degli internati a 3410 unità. I più significativi provenivano dai campi di Zlarino (186), Arbe (300) e Ustica (500).

Le condizioni di vita furono molto dure. Sul piazzale del campo era stato installato il palo delle punizioni, una specie di gogna, al quale venivano legati i responsabili di infrazioni mentre nei sotterranei erano state predisposte le celle per le pene di tipo detentivo. Il vitto giornaliero garantiva al massimo 700 calorie, per cui — stretti dai morsi della fame — i reclusi ricorrevano ai familiari e agli amici rimasti liberi, sollecitando l’invio urgente di viveri. Ma i pacchi con cibarie e generi di conforto vi poterono arrivare regolarmente soltanto dall’autunno del 1942.

Durante l’inverno, gli internati trascorrevano le giornate nei cameroni, rannicchiati l’uno accanto all’altro sui letti a castello, per difendersi dal freddo. Dal punto d vista abitativo, tuttavia, le solide strutture in cemento della caserma, di per sé, davano un relativo conforto e un certo senso di sicurezza rispetto alle tende e alle baracche di molti campi «per slavi». Migliori, rispetto a quelle dei civili, furono le condizioni di vita degli «internati militari». Essi, generalmente, conducevano vita piuttosto riservata, isolandosi nei propri reparti, in quanto — per via della resa ingloriosa dell’esercito jugoslavo del 1941 — non godevano di molte simpatie tra i loro connazionali.

Tra gli internati di Chiesanuova vi erano molti medici che — malgrado la scarsità di mezzi a disposizione — si prodigarono attivamente, più dei sanitari ufficiali, per la salute dei reclusi. Nonostante ciò, nell’intero periodo di attività del campo (poco più di dodici mesi) vi persero la vita 70 internati.

Significativo è stato il sostegno materiale e spirituale portato agli internati dal religioso padovano don Placido Cortese, originario di Cherso, sostenuto da alcune studentesse slovene che frequentavano l’Università di Padova.

I soldati di guardia, inizialmente tennero un atteggiamento distaccato e ostile nei confronti degli internati, ma col tempo i rapporti migliorarono fino al punto che, tra guardiani e reclusi, si sviluppò un fiorentissimo mercato nero. Tanto che – secondo quanto denunciato il 1° marzo 2943 dal colonnello Bruno Licini – chi aveva disponibilità di denaro, a prezzi esorbitanti, poteva comprarsi pressoché ogni cosa. Per una pagnotta di pane, ad esempio, venivano richieste 20 lire e per una sigaretta 4 lire. Su commissione di alcuni ex ufficiali della marina militare jugoslava, una guardia introdusse nel campo persino le componenti di una radioricevente. La radio venne poi montata e messa in funzione clandestinamente; cosicché le notizie delle vittorie degli Alleati rimbalzavano per le camerate, alimentando l’azione propagandistica degli antifascisti.

Anche nel campo di Chiesanuova gli internati organizzarono una certa attività socio-culturale. Tra l’altro, funzionava un «comitato di assistenza» che si adoperò con successo perché parte del contenuto dei pacchi ricevuti venisse devoluto ad un «fondo comune» riservato ai più bisognosi. Di tanto in tanto vennero organizzati concerti e incontri di studio; e vennero «pubblicati» anche quattro numeri di una sorta di notiziario interno il cui titolo, «La giusta verità per gli internati», era la parodia di un foglio propagandistico fascista («La giusta verità per gli sloveni») ampiamente diffuso dagli italiani nella «Provincia di Lubiana».

In seguito all’annuncio dell’armistizio, gli internati più politicizzati predisposero un piano – non riuscito – con l’obiettivo di impossessarsi delle armi dei soldati ed assumere il controllo del campo. Il 1o settembre 1943, la struttura venne occupata dai tedeschi che – con due convogli ferroviari – trasferirono i prigionieri a Zagabria, via Brennero-Vienna. Nella capitale croata alcuni di essi vennero arruolati in formazioni collaborazioniste slovene; molti altri invece, vennero rilasciati.

Presenze nel campo

Data         15.08.1942    17.09.1942    29.12.1942    01.02.1943    19.04.1943    01.06.1943    01.07.1943

Internati       1429               2129               3039               3403               3015               2857               3410

 

 

 Riferimenti per il campo di Chiesanuova

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