Ebrei in fuga arrestati

Ebrei in fuga arrestati

 

Molti degli internati che tentarono di fuggire caddero nelle maglie del controllo italo-tedesco. 45 ebrei furono presi nella stessa provincia di Vicenza o in zone limitrofe e portati nel campo di concentramento di Tonezza del Cimone.

Altri tentarono di fuggire verso il centro Italia ed arrivarono in provincia di Ascoli Piceno: da Camisano vi arrivarono Schapira Paolo e suo figlio Lepoldo, Nasch Karl, Iassem Josef e la moglie Geiger Laye, Weiss Markus, Rokach Ioseph, Luftig Leopoldo, Moersel Rosa, Seidmann Michele; da Lusiana Nelken Richard.

I fuggitivi non potevano sapere che una delle prime azioni antiebraiche in Italia si svolse tramite rastrellamenti e deportazioni tra la fine di settembre e gli inizi di novembre del 1943. Furono arrestati tutti gli ebrei presenti nelle Marche nelle province di Ascoli Piceno, Macerata e Chieti.

Secondo la disposizione di Hitler del 10 settembre 1943 l’Italia sarebbe stata ripartita in Zone d’Operazione, da determinare in base a considerazioni militari, e il restante territorio fu considerato occupato. Tra le Zone d’Operazione designate vi era un esteso territorio a sud dell’Appennino sotto il Comandante supremo delle forze armate tedesche nell’Italia meridionale, Kesserling, oltreché le coste italiane e le zone alpine. Più tardi altra fu la destinazione di tali territori e solo due di essi rimasero realmente Zone d’Operazione: l’Alpenvorland e l’Adriatisches Kustenland.

I primi ordini però erano stati dati tempestivamente e per questa ragione “di sicurezza” alcuni comandi militari locali presero l’iniziativa di fermare gli ebrei locali. Così, gli ebrei residenti nella provincia di Cuneo e i residenti nelle province di Chieti, Macerata, Ascoli Piceno e Teramo furono i primi in assoluto dopo l’occupazione tedesca in Italia ad essere fermati.

Nella provincia di Ascoli Piceno, il 5 ottobre 1943, il comandante militare germanico effettuò un primo rastrellamento di 41 ebrei nei comuni di Ascoli, Affida, Castignano, Santa Vittoria in Matenano, Falerone e Montegiorgio. Non sapendo dove sistemare gli arrestati fece riattivare l’ex campo di internamento per prigionieri di guerra degli eserciti alleati n. 59 di Servigliano, disabitato dal 20 settembre 1943, da quando cioè i prigionieri erano evasi in massa nascondendosi nelle campagne. La nuova destinazione di Servigliano fu decisa il 7 ottobre con il seguente ordine:

Tutti gli ebrei  internati e liberi, cittadini italiani e stranieri, comunque residenti o soggiornanti in questa provincia, devono essere al più presto tratti in arresto ed internati nel campo di concentramento di Servigliano.

Ma il comando germanico aveva altro da fare sicché per i successivi arresti coinvolse direttamente la Questura di Ascoli Piceno. Questa, l’8 ottobre, ordinò ai comandi dei carabinieri che:

Alle ore 9 del 10 corrente, giorno ed ora indicati dallo stesso comando, siano contemporaneamente tratti in arresto tutti gli ebrei anzidetti, pertinenti alle rispettive giurisdizioni. L’arresto deve essere esteso a tutti i componenti le famiglie degli ebrei. Ove trattasi di famiglie miste, dovrà procedersi all’arresto dei soli componenti non ariani delle famiglie stesse. Avverto che il comando germanico annette particolare importanza al servizio, della cui riuscita rende tutti gli organi di polizia responsabili. Ciascun comando, effettuati gli arresti, provvederà nel più breve tempo possibile, alla traduzione straordinaria a Servigliano e alla consegna a quel comando tedesco di campo degli interessati attendo assicurazioni per telegramma e, per lettera, l’elenco nominativo degli arrestati.

I carabinieri in pochi giorni riuscirono a rintracciare, arrestare e concentrare nel campo altri 28 ebrei, sicché a Servigliano il 12 ottobre ne risultavano internati 69.

Non dissimile la situazione in provincia di Macerata: gli ebrei stranieri internati nei campi per cittadini stranieri di Urbisaglia, di Petrolio e di Pollenza  il 29-30 settembre furono arrestati dal comando germanico e riuniti nell’ex campo per prigionieri di guerra sgomberato di Sforzacosta.

In quest’ultimo campo si trovava Richard Nelken. Ecco come andarono le cose a Urbisaglia secondo la testimonianza del dr. Paul Pollack, medico capo della divisione di polizia di Vienna, profugo in Italia:

Alla metà di settembre una unità tedesca occupò il vicino campo di Sforzacosta per prigionieri di guerra inglesi; quel giorno il nostro comandante aprì le porte del campo e sotto la sua responsabilità, invitò gli internati a fuggire. Gli internati, senza documenti, senza soldi, senza sapere dove andare, senza lingua italiana se ne andarono in pochissimi. Tornati quasi tutti dentro, dopo circa due settimane di paura, il 30 settembre 1943, vigilia di Rosh Hashanah, alcuni camion condotti da un ufficiale fascista scortati da soldati tedeschi entrarono per portare via gli internati. Il direttore fino all’ultimo preoccupato dei suoi internati, chiese tempo per la cena e per preparare i bagagli e fu messo alla porta e minacciato di arresto. Il tenente condusse gli internati a Sforzacosta nel vecchio campo per PG inglesi dove restammo sotto sorveglianza italiana. Il 23 ottobre il campo fu preso in consegna da unità tedesche. Dopo qualche tempo gli ex internati di Urbisaglia, ora a Sforzacosta, furono trasferiti a Fossoli e da lì fatti partire per Auschwitz. Sono l’unico superstite di Urbisaglia.

Proprio come raccontato dal dr. Pollak, la stessa sorte toccò a Richard Nelken, nato a Breslavia il 28.06.1905, già internato a Lusiana. Fuggito ad Ascoli Piceno, arrestato a Servigliano il 04.04.1944 da tedeschi, portato nel campo di Sforzacosta, arrivò poi a Fossoli. Da qui fu deportato il 16 maggio 1944 ad Auschwitz con il convoglio 10. Non è sopravvissuto.

In un documento del 23 settembre 1943, la Questura di Ascoli chiese a quella di Vicenza il motivo per cui gli ebrei “si siano trasferiti in questa provincia, se siano di origine tedesca e se in tal caso, (…), siano muniti di passaporto contrassegnato con la nota sigla “J” o di passaporto per apolidi rilasciato dalle autorità tedesche oppure del passaporto Nansen rilasciato dalle autorità italiane.”

Gli ebrei giunti inizialmente ad Acquasanta erano: Michele Seidmann, Rosa Moersel, Leopoldo Luftig, Giuseppe Iassem e Laye Geiger, Zisla Brkich.

Il 29 settembre arrivarono a Spinetoli altri 5 ebrei: Paolo e Leopoldo Schapira, Markus Weiss, Karl Nasch e Joseph Rokach.  

Significativo un documento del 6 dicembre 1943, in cui si afferma che, dei 5 ebrei arrivati in provincia di Ascoli il 29 settembre, 4 erano stati internati a Servigliano e uno, Rokach, si era reso irreperibile all’atto del rastrellamento.

 

 

Markus Weiss fuggì a Spinetoli. Fermato il 10 ottobre 1943, fu tradotto, su ordine del comando germanico, nel campo di concentramento di Servigliano.

 

 

Non conosciamo ciò che successe al Weiss successivamente al suo arresto, ma documenti dell’ottobre 1945 lo vedono al centro di richieste di informazioni da parte dell’Ente Comunale di Assistenza di Bari per la concessione del sussidio e quindi risulta vivo.

 

 

Anche gli altri ebrei furono fermati negli stessi giorni del Weiss e internati nel campo di Servigliano. Di Rosa Moersel non sappiamo altro.

Diversa l’evoluzione della situazione per i due Schapira e per Nasch. Paolo, Leopoldo e Karl, dopo Servigliano, vennero portati a Fossoli e da lì, il 16 maggio 1944, ad Auschwitz con il convoglio n° 10. Non fecero più ritorno.

Altri ebrei fuggirono verso le città di origine come Nicolò Sagi (internato a Montecchio). Secondo i dati raccolti ne Il libro della memoria, Nicolò, dopo l’8 settembre, tornò a Fiume dove fu arrestato il 19.03.1944 da tedeschi. Detenuto nel campo di San Sabba, fu deportato da Trieste il 29.03.1944 ad Auschwitz, con il convoglio 25T. Fu immesso nel campo con la matricola n° 179606. Morì il 06.10.1944. A Fiume fu arrestato con sua madre Francesca Abeles, detta Fani, nata a Veszprem in Ungheria l’08.12.1869, figlia di Massimiliano e Schoenfeld Cecilia. Fu deportata con Nicolò e uccisa all’arrivo ad Auschwitz il 04.04.1944. Diversa la sorte per il figlio di Nicolò, Luigi, nato a Fiume il 26.04.1925. Entrato ad Auschwitz con la matricola n 179605, fu liberato il 27.01.1945.

 

Per alcuni non è noto il luogo e la data dell’arresto, come per Kurt Fischel , già internato a Roana. Kurt fu condotto al campo di Fossoli e deportato il 16 maggio 1944 verso Auschwitz, con il convoglio 10. Non è sopravvissuto. 

 

Altra ancora la storia di Raimondo Arbisser , nato a Minsk Mazor il 31.12.1918, figlio di Jankel e Gerschkoviz Dvorah, già internato a Roana. Raimondo fu arrestato alla fine di luglio del 1943, insieme ad Herman Fritz e a Gedal Arbisser, per aver tentato di fuggire in Svizzera. Scontò tre mesi di carcere per poi essere mandato, il 28 ottobre, a Barbarano Vicentino. Riprese la sua vita da internato, continuò a ricevere il sussidio, ma con la consapevolezza che il clima politico era cambiato. Quasi tutti gli ebrei, infatti, erano fuggiti all’estero, a sud o si erano dati alla macchia.

 

 

Arbisser cercò di prendere tempo e di giocare le sue carte. Dichiarò di non essere ebreo, chiese alle autorità di fare accertamenti.

Alle 11 del 24 gennaio 1944 l’internato tentò ancora una volta la fuga, si avviò verso Noventa Vicentina, cercò di prendere il tram per Montagnana. Scattarono le ricerche: il telegramma urgente cercava un uomo “basso, tarchiato, colorito, bruno, naso leggermente camuso, veste dimessamente di grigio con berretto parla italiano con marcata pronuncia straniera”.

Fu arrestato dai Carabinieri il 25 gennaio.

Di lui sappiamo che fu portato prima al campo di Fossoli e poi, con il convoglio n. 13 del 26.06.1944, ad Auschwitz. Fortunatamente fu liberato nel circondario di Auschwitz dopo il 18.01.1945. Lo ritroviamo il 1° settembre del 1945, in una dichiarazione che attesta il suo internamento in Provincia di Vicenza.

 

Anche ai coniugi Irene Zausner e Paolo Pokorni toccò una sorte simile. Entrambi nati a Vienna, il 02.01.1907 lei, il 04.08.1897 lui, una volta giunti in Italia furono internati a Lusiana. Lei era una sarta, lui un chimico. Irene si trasferì successivamente da Lusiana a Lonigo per motivi di salute.

Durante l’internamento, Irene si era stabilita in via Manzoni 15, a Madonna di Lonigo. Le difficoltà economiche spinsero Irene a cercare contatti con un certo Leone Ollugmann, Commercio Agrumi Trieste, affinché potesse comunicare con correligionari e benefattori per avere aiuti.

Non ci sono documenti sufficienti per ricostruire la sua storia, ma si può ipotizzare che dopo l’armistizio sia fuggita verso sud, alloggiando nel marzo del 1944 a Pesaro, presso l’Albergo Zongo. Arrestata, fu condotta nelle carceri di Vicenza. A lungo chiese di poter recuperare le sue valige lasciate a Pesaro e in maggio rintracciate presso l’ufficio dell’auto-corriera.

 

 

Il 1944 fu quindi un anno fatale: dopo l’arresto e la permanenza in carcere, Irene e Paolo vennero portati a Fossoli da dove, il 26.06.1944, furono deportati ad Auschwitz. Lei ebbe la matricola n. A-8487, mentre per lui l’immatricolazione è dubbia. La liberazione del campo, avvenuta il 27 gennaio 1945, permise ad Irene di tornare a casa, ma senza il marito, deceduto in luogo ignoto in data ignota.

 

Risultano arrestati in provincia di Vicenza, e precisamente a Grisignano di Zocco, alcune persone della famiglia Perlow. Si tratta di

  • Perlow Aron Ernesto, nato a Vrhnika in Jugoslavia l’11.04.1906, figlio di Mario e Farberow Rosa, coniugato con Braun Carola. Ultima residenza nota: Fiume. Arrestato a Grisignano di Zocco (VI) l’11.11.1944 da tedeschi. Detenuto a Venezia carcere, S. Sabba campo. Deportato da Trieste l’11.01.1945 a Ravensbrueck. Deceduto in evacuazione a Sachsenhausen dopo il 22.04.1945. Convoglio 42T
  • Braun Carola, nata a Celje in Jugoslavia il 26.06.1904, figlia di Marco e Frank Erminia, coniugata con Perlow Aron Ernesto. Ultima residenza nota: Fiume. Arrestata a Grisignano di Zocco (VI) l’11.11.1944 da tedeschi. Detenuta a Venezia carcere, S. Sabba campo. Deportata da Trieste l’11.01.1945 a Ravensbrueck. Matricola n. 97468. Deceduta a Bergen Belsen nel 1945. Convoglio 42T.
  • Perlow Silvio, nato a Fiume nel novembre 1937, figlio di Aron Ernesto e Braun Carola. Ultima residenza nota: Fiume. Arrestato a Grisignano di Zocco (VI) l’11.11.1944 da tedeschi. Detenuta a Venezia carcere, S. Sabba campo. Deportato da Trieste l’11.01.1945 a Ravensbrueck. Matricola n. 97462. Deceduto a Bergen Belsen in data ignota. Convoglio 42T.
  • Perlow Paula, nata a Fiume il 2.06.1910, figlia di Mario e Farberow Rosa. Ultima residenza nota: Fiume. Arrestata a Grisignano di Zocco (VI) l’11.11.1944 da tedeschi. Detenuta a Venezia carcere, S. Sabba campo. Deportata da Trieste l’11.01.1945 a Ravensbrueck. Matricola n. 97465. Deceduta a Bergenn Belsen in data ignota. Convoglio 42T.
  • Perlow Mario, nato a Trieste il 28.02.1928, figlio di Perlow Sonia. Ultima residenza nota: Fiume. Arrestato a Grisignano di Zocco (VI) l’11.11.1944 da tedeschi. Detenuto a Venezia carcere, S. Sabba campo. Deportato da Trieste l’11.01.1945 a Ravensbrueck. Deceduto in evacuazione a Sachsenhausen dopo il 22.04.1945. Convoglio 42T.
  • Braun Bianca, nata a Fiume il 04.09.1910, figlia di Marco e Frank Erminia, coniugata con Somogyi Ervino. Ultima residenza nota: Fiume. Arrestata a Grisignano di Zocco (VI) l’11.11.1944 da tedeschi. Detenuta a Venezia carcere, S. Sabba campo. Deportata da Trieste l’11.01.1945 a Ravensbrueck. Matricola n. 97469. Liberata a Bergen Belsen 15.04.1945. Convoglio 42T.

Altri membri della numerosa famiglia Perlow rimasero a Fiume. Si veda anche la voce “Perlow” sul sito di Federico Falk.

La loro storia si intreccia con quella di tre bambini, Tatiana e Andra Bucci e Sergio De Simone. Il destino di quest’ultimo fu davvero tragico dato che fu vittima del massacro di Bullenhuser Damm. Sulla vicenda si vedano, tra le altre cose, il libro di Titti Marrone, Meglio non sapere, e il documentario della RAI.

 

Schema delle famiglie Perlow – De Simone – Braun – Bucci

 

 

Erano vicentine altre due donne uccise nella Shoah: Carlotta Cantoni e Margherita Luzzatto.

Margherita nacque a Vicenza il 25.07.1878, figlia di Gerolamo e Adele Rabbeno . Si sposò con Michelangelo Boehm con cui andò a vivere a Milano, in via De Amicis 45. Fu arrestata a Tirano (SO) il 13.12.1943. Detenuta nel carcere di Sondrio e in quello di Como, fu portata al campo di Fossoli da dove fu deportata il 22.02.1944, con il convoglio 8, verso Auschwitz. Fu uccisa all’arrivo ad Auschwitz il 26.02.1944.

Anche il marito Michelangelo Bohm, nato a Treviso il 25.12.1867, figlio di Benedetto e Luigia Polacco, fu arrestato a Tirano (SO) il 10.12.1943. Detenuto nelle carceri di Sondrio, Como e Milano fu deportato il 30.01.1944 ad Auschwitz, con lo stesso convoglio degli ebrei internati a Tonezza del Cimone.

Michelangelo Bohm, ingegnere del gas, aveva ottenuto incarichi importanti per l’approvvigionamento dell’esercito durante la prima guerra mondiale. Docente della Facoltà di Ingegneria al Politecnico di Milano, dove un’aula porta ancora oggi il suo nome, divenne Presidente dell’Unione Internazionale dell’Industria del Gas. Il 27 ottobre 1935 la Presidenza del Consiglio dei Ministri lo nomi­nò Grande Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia, ma con l’av­vento delle leggi antiebraiche, il 26 febbraio 1940 fu radiato dall’Albo degli Ingegneri cui era iscritto dal 18 maggio 1928 e dall’elenco dei soci del Sindacato di Milano, di cui era membro dal 16 dicembre del 1926.

Due dei suoi tre figli si rifugiarono in Svizzera, ma né lui né la moglie vollero saperne di fuggire, di cambiare nome e residenza: “Che cosa volete che facciano a me che sono vecchio e che non ho mai fatto nulla di male?”, soleva rispondere al figlio maggiore. Per salvarsi dai bombardamenti che imperversavano su Milano, i coniugi Bohm sfolla­rono a Maggio in Valsassina, nella loro residenza di campagna. L’8 dicembre 1943, qual­cuno li avvertì che i Carabinieri il giorno successivo sarebbero andati ad arrestarli: co­sì, dal 9 al 13 dicembre furono ospitati dalla coraggiosa famiglia Cima a Lecco, nonostante la loro casa, al piano terreno, fosse la sede di un comando tedesco. I due Bohm partirono finalmente per Tirano, con l’intenzione di fuggire nella vicina Sviz­zera. Probabilmente traditi, vennero arrestati dalla Milizia Confinaria all’Albergo Pe­trogalli. Vi trascorsero quattro giorni: furono perquisiti e spogliati di tutto.

“Erano nella camera n. 5 … L’albergo fu circondato dalla milizia … Furono obbligati a portare la loro valigia fino alla caserma dei militi a Tirano”, testimonia la signora Pe­trogalli. Il 17 dicembre entrarono nelle carceri della Pretura di Tirano, come risulta dal registro. Il 4 gennaio arrivarono al carcere Montesanto di Corno e vi restarono fino al 17 gennaio 1944, data in cui l’ingegner Bohm fu liberato per aver superato i 70 anni, confor­memente alle disposizioni del momento. Quello stesso giorno sua moglie Margherita fu trasferita al campo di Fossoli.

Michelangelo, nel frattempo, aveva trovato rifugio nella Casa di Cura Valduce di Corno e aveva tentato di fare liberare la moglie recandosi personalmente dal questore, che in­vece lo fece nuovamente arrestare il 29 gennaio 1944. Trasferito a San Vittore, il 30 gennaio 1944 venne caricato sul treno diretto ad Auschwitz. Dal momento della deportazione tutte le notizie ricostruite dai figli si fondano sulle te­stimonianze dei sopravvissuti: Lisa Dresner e il marito Teodoro Rozaj (prelevati ad Asti il 10 dicembre 1943, ivi detenuti e trasportati poi a San Vittore) il 25 marzo 1947 di­chiararono di aver conosciuto l’ingegner Bohm domenica 30 gennaio alla stazione Centrale e di aver viaggiato sullo stesso carro-bestiame fino al 6 febbraio, quando lo videro caricato su un camion insieme a donne e bambini. Il camion era diretto alle camere a gas.

 

Carlotta Cantoni, nata a Vicenza il 20.12.1883, figlia di Giuseppe e Leoni Virgilia, si sposò con Umberto Silva. Fu arrestata a Venezia il 05.12.1943 da italiani. Detenuta nel carcere di Venezia e nel campo di Fossoli, il 22 febbraio 1944 fu deportata ad Auschwitz, con il convoglio 8, lo stesso di Margherita Luzzatto e Primo Levi. Fu uccisa all’arrivo ad Auschwitz il 26.02.1944.

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