L’abitazione

L’abitazione

La sistemazione degli ebrei nei comuni di internamento 

 

La difficoltà di trovare sistemazioni adeguate alle diverse necessità della popolazione locale e degli ebrei stranieri caratterizza fortemente l’internamento in termini di precarietà.

Mancanza reale di abitazioni, lamentele dei cittadini dei vari comuni, problemi di salute, richieste di trasferimenti: questo è quanto ci riferiscono i documenti.

Agli ebrei furono assegnati alloggi di fortuna presso famiglie a cui veniva corrisposto un minimo compenso; raramente la soluzione abitativa consisteva in alloggi che potessero accogliere insieme tutti gli ebrei presenti in uno stesso comune, soluzione auspicata dalle autorità per poter esercitare su di loro una vigilanza continua.

Qualche volta l’alloggio poteva essere una locanda, come accadde agli ebrei assegnati al comune di Albettone dove l’esercente della pensione chiese di spostare altrove gli ebrei lì alloggiati, o un’osteria, come a Caltrano.

Alcuni documenti presentano la richiesta di trasferimenti in altri comuni da quelli precedentemente loro assegnati: questo è il caso, ad esempio, del sig. Schaechter che chiese di potersi trasferire con la moglie Anna presso la signora Florida Panarotto a Montecchio Maggiore, richiesta che venne accolta.

Dai documenti emerge che furono gli stessi abitanti vicentini a sottoscrivere una dichiarazione per mostrare l’avvenuta concessione di un alloggio. Così la signora Teresina di Montecchio e Giovanna Cappellaro di Enego fornirono un alloggio al dott. Sigismondo Levitus e, sempre ad Enego, il signor Giuseppe Cerato, residente in piazza San Marco 24, fece lo stesso con l’internato Salomon Horowitz costretto ad andar via dall’Albergo Vascon Ottorino di Noventa, dato che lo stesso proprietario dovette lasciare l’albergo.

In altri comuni, ad esempio Lonigo, a causa della presenza, considerata rilevante, di famiglie ebree, il podestà chiese di non inviare altri ebrei in aggiunta e segnalava che l’alloggio ad essi assegnato privava della stessa esigenza le famiglie italiane da tempo rimpatriate dall’estero o dall’Africa settentrionale residenti presso lo stesso comune.

Altre volte erano le condizioni di salute che spingevano gli internati a scrivere alla Questura per esporre i propri problemi, come nel caso di Peisach Wald, internato a Roana, che chiese di “essere esentato dall’obbligo di andare ad abitare nello stabile che verrà fra breve adibito ad abitazione di tutti gli internati di Canove”, data la sua età, “nonché lo stato della propria salute”.

In alcuni casi le cose non volsero al meglio per gli internati. Erano abbastanza frequenti i rifiuti di dare in affitto camere o, nel caso ciò avvenisse, le richieste di liberarle. I motivi sono tanti: la necessità, da parte di proprietari di alberghi o di altri esercizi, di avere stanze pronte per i villeggianti, come accadde per Slavko Brichta e la moglie Lili, internati a Crespadoro, che per questo motivo chiesero di essere trasferiti ad Arzignano; il bisogno di dare alloggio ai figli sposati o ai parenti, come emerge nella richiesta del signor Sisto Dalla Palma di Enego; il rifiuto di ospitare in casa ebrei, come successo a Pfeffer a Cismon.

 

In altri comuni la ricerca di abitazioni fu spasmodica e si cercò di sfruttare qualsiasi possibilità. A Brendola si tentò di utilizzare la casa di un cittadino residente ormai in provincia di Aosta, dato che la casa è “idonea allo scopo e si presta benissimo per la sorveglianza”.

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