L’internamento nei comuni

Misure di internamento in Italia

L’internamento nei Comuni

(tratto da Klaus Voigt, Il rifugio precario. Gli esuli in Italia dal 1933 al 1945, vol. 2, La Nuova Italia, Scandicci 1996)

 

Per quanto riguarda l’internamento nei comuni si possono distinguere tre fasi principali. La prima va dall’entrata in vigore delle misure di internamento fino all’agosto 1941e fu caratterizzata dal costante aumento del numero complessivo degli internati (623 persone nell’ottobre 1940 – donne e bambini soprattutto – distribuite in 15 province, 5 a sud e 10 al centro).

 

PRIMA FASE

In un primo momento l’internamento nei comuni era previsto per quanto riguarda gli ebrei stranieri solo per le donne (in attesa di campi adeguati per famiglie e donne sole).

Il 15 maggio 1940 un telegramma del Ministero dell’Interno invitava i prefetti di 25 province dell’Italia centro-settentrionale a inviare entro cinque giorni un elenco di posti adatti all’internamento, indicandone la capienza. Gli elenchi dovevano essere concordato con le autorità militari.

I prefetti interpellati proposero ben 200 comuni tanto che bastò distribuire le donne e i bambini i 15 province.

Durante la prima fase dell’internamento che va fino all’agosto 1941 fu concesso in rari casi di soggiornare nei comuni anche ad alcuni uomini, per la maggior parte provenienti dai campi.

A differenza del trattamento per gli uomini subito arrestati dopo il 15 giugno, per donne e bambini non ci fu nessuna fretta. Un parte di essi poterono addirittura trascorrere i tre anni di internamento nel loro precedente domicilio. Le donne sospettate di spionaggio o contrarie alla politica del governo venivano inviate in un campo femminile o a Ferramonti.

Quando le donne partivano per l’internamento, l’autorità di polizia del luogo di residenza consegnava loro un foglio di via obbligatorio con il quale dovevano presentarsi entro una data prestabilita alla questura della provincia decisa dal Ministero dell’Interno, che li destinava a un comune. Di solito le donne con i loro bambini raggiungevano in treno il capoluogo della provincia e da lì venivano portate in treno, con la corriera o un tassì collettivo al luogo di destinazione definitivo. Dopo che ebbero inizio i trasferimenti dalla Slovenia e dalla Dalmazia si preferì a volte radunare gruppi anche piuttosto numerosi che venivano fatti viaggiare sotto scorta, in vagoni speciali. Mentre l’ultimo tratto veniva spesso percorso a bordo di un camion.

All’inizio l’internamento nei comuni era stato pensato soprattutto come internamento individuale. Ancora nell’ottobre 1941 il Ministero dell’Interno raccomandava ai prefetti che gli immigrati e profughi ebrei fossero sistemati “isolatamente in camere ammobiliate, pensioni, alberghi”. Ciascun luogo doveva ospitare al massimo i componenti di uno stesso nucleo familiare.

Spesso l’amministrazione comunale aveva provveduto a reperire gli alloggi già prima dell’arrivo degli internati, ma in molte località essi dovettero mettersi da soli alla ricerca di una camera e nel frattempo abitare in albergo, a meno di non essere ospitati alla meglio in un edificio pubblico.

Nella prima fase non pare fosse difficile reperire alloggi, ma in seguito la situazione andò peggiorando, malgrado l’internamento venisse esteso anche al settentrione.

Infine si dovette abbandonare l’internamento individuale. Sempre più spesso si ricorreva alla sistemazione in grandi alloggi collettivi, che, a parte la possibilità di spostarsi nei dintorni entro un raggio più ampio e la sorveglianza più blanda, assai poco si distinguevano da un campo di internamento. A Canove di Roana ben 50 ebrei erano costretti a vivere in una vecchia segheria.

La prima indicazione sul numero complessivo degli internati nei campi e nei comuni risale a un questionario inviato ai prefetti dal Ministero dell’Interno verso la metà di settembre del 1940. Dalle risposte risultano 3877 “ebrei stranieri residenti nel Regno che non hanno titolo per rimanervi”, cioè tutti quelli che erano immigrati o fuggiti in Italia dopo il 1919 a meno che non fossero sposati con un cittadino italiano  o avessero superato i 65 anni.

 

SECONDA FASE 

Fu brevissima: dall’agosto al novembre 1941. L’evento determinante fu il trasferimento di 277 famiglie, 656 persone in tutto, da Ferramonti di Tarsia a comuni scelti da loro stesse, autorizzato da Mussolini il 10 agosto. Una decisione importantissima, perché con essa il ricongiungimento familiare nell’internamento libero, fino a quel momento concesso solo in casi eccezionali, divenne prassi costante, con la conseguenza che molti uomini poterono lasciare i campi. A seguito di questi trasferimenti fu necessario estendere l’internamento ad altre province: alla fine della seconda fase da 15 si passa a 43 province. Ciò che emerge con chiarezza è un netto aumento degli internamenti al nord: delle 43 province, 19 erano al nord, 18 al centro e 6 al sud. Verso la fine della seconda fase gli internati nei comuni erano tra i 1500 e i 1800. Le persone provenienti da Ferramonti-Tarsia si trasferirono soprattutto nelle province di Vicenza, Bergamo, Belluno, Lucca, L’Aquila, Grosseto e Viterbo.

 

TERZA FASE

Ebbe inizio con l’arrivo da Spalato di 5 gruppi, 1045 persone in tutto, che tra novembre e dicembre 1941 furono sistemate in alcuni comuni delle province di Vicenza, Treviso, Asti, Aosta e Parma e durò fino all’occupazione tedesca.

In questa fase si parla di 63 province. Nel nord si passò a 33 province, nel centro erano 20 e a sud 10. Nel semestre tra i due rilevamenti del novembre 1942 e dell’aprile-maggio 1943 il numero complessivo era cresciuto da 3460 a 4339 persone. Più esattamente c’erano:

  • 2827 internati (65, 2%) nell’Italia settentrionale;
  • 1133 (26,1%) nel centro; 
  • 379 (8,2%) nel sud. 

Nella sola provincia di Vicenza nell’aprile-maggio del 1943 erano registrati non meno di 541 ebrei stranieri.

 

Secondo quanto riferito dalla Delasem nel gennaio 1942, erano oltre 150 i comuni scelti per l’internamento.

Tra comuni e campi si può dire che il numero globale degli ebrei stranieri ammontava a

  • 2412 persone nel 1940;
  • 5463 persone nel novembre 1942;
  • 6386 nell’aprile-maggio 1943 (rilevamento per la Croce Rossa Italiana): 2828 a nord (44,5%), 1560 al centro (24,4%) e 1998 al sud (31%) di cui ben 1465 a Ferramonti (22,9%).

 

Gli ebrei stranieri esonerati dall’internamento vanno divisi in tre gruppi:

  • gli ebrei immigrati in Italia anteriormente al 1919, che non avevano chiesto la cittadinanza italiana, o cui era stata revocata dopo l’entrata in vigore delle leggi razziali, se l’avevano acquistata dopo il 1918;
  • le persone sposate con un cittadino italiano e gli ultrasessantenni;
  • donne e bambini che in effetti avrebbero dovuto essere internati, ma cui fu concesso di restare nel luogo di dimora abituale.

 

Prendendo in esame tutti i dati a disposizione, si può calcolare che in totale gli “ebrei stranieri” presenti in Italia vero la fine del periodo di internamento fossero circa 9000.

La seguente tabella analizza la nazionalità degli “ebrei stranieri” all’inizio e alla fine del periodo di internamento. 

NazionalitàGennaio 1941Aprile – Maggio 1943
tedeschi o austriaci50%25,6%
polacchi23,9%14%
cechi o slovacchi4,4%8,4%
fiumani divenuti apolidi4,3%
greci3,1%
appartenenti ad altri stati9,6%8%
apolidi senza indicazione del paese di appartenenza4,8%7,9%
jugoslavi36,1%

 

internamento voigt
lavori internati nei campi voigt
internamento voigt lavori internati nei campi voigt

 

Un appunto del Ministero dell’Interno, datato 3 luglio 1943, rivolto alla Commissione consultiva per i diritti di guerra, riassunse le regole riguardanti le diverse misure di internamento e le modifiche apportate tra il 1940 e il 1943.

 

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