Margherita Luzzatto e Michelangelo Böhm

Margherita Luzzatto e Michelangelo Böhm

Margherita Irene Benvenuta Luzzatto nacque a Vicenza il 25.07.1878, alle ore 5.30 nella casa di Borgo Padova 82, dall’unione di Gioacchino (possidente) e Adele Rabbeno.

In questo caso non ci sono riferimenti al destino di Margherita, ma il 13 novembre 1901 si aggiunse che il 26.08.1901 si era sposata a Vicenza con Michelangelo Böhm (cognome di origini ungheresi; la famiglia di Michelangelo proveniva da Budapest), ingegnere del gas. I due si erano trasferiti a Milano in via De Amicis 45. Furono arrestati a Tirano (SO) il 13.12.1943 e condotti prima nel carcere di Sondrio e poi in quello di Como. A gennaio del 1944 Margherita fu trasferita nel campo di concentramento di Fossoli, mentre Michelangelo (nato a Treviso il 25.11.1867) fu scarcerato perché ultrasettantenne. Da lì furono deportati ad Auschwitz il 22.02.1944 dove fu uccisa all’arrivo quattro giorni dopo, come Primo Levi ha potuto testimoniare dato che la conosceva e che furono deportati con lo stesso treno. Michelangelo Böhm fu arrestato di nuovo a Milano il 29.01.1944, condotto a San Vittore e deportato con il convoglio del 30 gennaio. Anche lui fu subito ucciso all’arrivo, il 6 febbraio 1944.

Michelangelo aveva ottenuto incarichi importanti per l’approvvigionamento dell’esercito durante la Prima Guerra Mondiale. Fu docente della Facoltà di Ingegneria al Politecnico di Milano, dove un’aula porta ancora oggi il suo nome. Divenne Presidente dell’Unione Internazionale dell’Industria del Gas. Il 27 ottobre 1935 la Presidenza del Consiglio dei Ministri lo nomi­nò Grande Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia, ma con l’av­vento delle leggi antiebraiche, il 26 febbraio 1940 fu radiato dall’Albo degli Ingegneri cui era iscritto dal 18 maggio 1928 e dall’elenco dei soci del Sindacato di Milano, di cui era membro dal 16 dicembre del 1926.

Due dei suoi tre figli si rifugiarono in Svizzera, ma né lui né la moglie vollero saperne di fuggire, di cambiare nome e residenza. Che cosa volete che facciano a me che sono vecchio e che non ho mai fatto nulla di male?“, soleva rispondere al figlio maggiore. Per salvarsi dai bombardamenti che imperversavano su Milano, i coniugi Bohm sfolla­rono a maggio in Valsassina, nella loro residenza di campagna. L’8 dicembre 1943, qual­cuno li avvertì che i Carabinieri il giorno successivo sarebbero andati ad arrestarli: co­sì, dal 9 al 13 dicembre furono ospitati dalla famiglia Cima a Lecco, nonostante la loro casa, al piano terreno, fosse la sede di un comando tedesco. “Con che coraggio e con quale alto senso di umanità erano venuti incontro a questi poveri ami­ci, vecchi dai capelli bianchi, ingenui e increduli di tutto quanto di tragico stava per succedere!“, ha scritto Nora, nipote di Michelangelo e Margherita. l due Bohm partirono per Tirano, con l’intenzione di fuggire nella vicina Sviz­zera. Probabilmente traditi, furono arrestati dalla Milizia Confinaria all’Albergo Pe­trogalli. Vi trascorsero 4 giorni. Furono perquisiti e spogliati di tutto. Erano nella camera n. 5 … L’albergo fu circondato dalla milizia … Furono obbligati a portare la loro valigia fino alla caserma dei militi a Tirano“, testimonia la signora Pe­trogalli. Il 17 dicembre entrarono nelle carceri della Pretura di Tirano, come risulta dal registro. Il 4 gennaio arrivarono al carcere Montesanto di Corno e vi restarono fino al 17 gennaio 1944, data in cui l’ingegner Bohm fu liberato. Quello stesso giorno Margherita fu trasferita a Fossoli. Michelangelo, nel frattempo, aveva trovato rifugio nella Casa di Cura Valduce di Corno e aveva tentato di fare liberare la moglie recandosi personalmente dal questore che in­vece lo fece nuovamente arrestare il 29 gennaio 1944. Del nonno ingegnere, Michelangelo, si sa che — quando venne arrestato, tradito dai passatori che dovevano farlo arrivare in Svizzera dove stavano già i tre figli — gettò i guanti a terra, stizzito e allibito, dato che fin a quel momento aveva pensato di esser troppo vecchio per correre il rischio della deportazione nazista.

Dal momento della deportazione tutte le notizie ricostruite dai figli si sono fondate sulle te­stimonianze dei sopravvissuti: Lisa Dresner e il marito Teodoro Rozaj (prelevati ad Asti il 10 dicembre 1943, ivi detenuti e trasportati poi a San Vittore) che il 25 marzo 1947 di­chiararono di aver conosciuto l’ingegner Bohm domenica 30 gennaio alla stazione Centrale e di aver viaggiato sullo stesso carro-bestiame fino al 6 febbraio, quando lo videro caricato su un camion (diretto alle camere a gas) insieme a donne e bambini.

Ha detto la nipote Nora: “Pensate il nonno Bohm, ingegnere del gas, morire proprio con il gas! Non oso pensare al suo viso, alla sua espressione, quando si accorse della prima fuoriuscita di gas invece dell’acqua dalla doccia della camera a gas: voglio solo illudermi che sia svenuto immediatamente e che non abbia né realizzato, né sofferto troppo.

Degli ultimi giorni di vita della nonna Margherita Luzzatto, donna di famiglia con la passione dei libri, raccontò Primo Levi: «Non soffrì molto, a parte per il disagio del viaggio nel convoglio».

In un articolo pubblicato da La Repubblica il 19.01.2018, il nipote, Michele Böhm ha affermato: «Come la Shoah si abbatté sulla nostra famiglia, a me ragazzino di 6 anni, lo raccontò mia mamma, Eva Romanin Jacur, ebrea anche lei, padovana, di famiglia ricca, tra le fondatrici delle Generali. Mio padre Corrado, che aveva 21 anni quando il nonno e la nonna vennero arrestati cercando di scappare in Svizzera, non voleva parlare di quella storia. Voleva pensare solo alla matematica». Michele, come il padre Corrado un genio dell’informatica, ha spiegato che fu anche quella storia familiare a «formare l’immagine del mondo che volevo combattere: fu anche per quello che da ragazzo entrai in Lotta Continua. Mia mamma non mi trasmise l’angoscia di chi perde, ma l’idea di chi ha fondato Israele e che ha detto ‘mai più con il fucile in mano’. La vendetta è sbagliata, ma bisogna resistere al male. Questo per me questo vuol dire essere rivoluzionario. Mi era rimasto dentro l’orrore per questa gente che non si rendeva conto e si faceva massacrare, in un sentimento di rimozione collettiva inspiegabile».

Michele porta il nome che discende da Michelangelo, il nome di entrami i suoi nonni. Quelli materni si salvarono dallo sterminio riparando nelle campagne venete, dai contadini che nascondevano molte famiglie ebree, memori di una storia antica di bisogno e di solidarietà umana.

«Purtroppo di lui non sappiamo nulla delle ultime ore, non abbiamo nessuna testimonianza — racconta Michele. Mi resta l’orgoglio di discendere da una persona che aveva un modo laico di intendere la sua origine ebraica. Penso che la mia passione per la matematica, la scienza, i numeri, come fu per mio padre Corrado, venga da lì, da quel nonno. Un gran borghese, una persona molto inserita nella società del suo tempo, nella Milano delle professioni, un illuminista che credeva nel progresso, nella modernità. Lui certo non poteva credere invece nella barbarie e nella follia nazista che avrebbe fatto scempio di un popolo intero».

Per alcune strane coincidenze, l’altra nipote, Nora ritrovò casualmente a Milano la signora Cima. Questa donna, coraggiosa e “giusta”, le consegnò, 36 anni dopo, l’anello che Margherita Bohm le aveva regalato prima di partire in segno di riconoscenza: “Il sentimento di ammirazione per questa signora era grande, come pure il senso di gratitudine: quante persone avrebbero fatto tutti questi gesti?”.

Nel loro caso, sono state poste due pietre di inciampo a Milano davanti all’indirizzo dove abitavano. Non saranno invece ricordati nella città di Vicenza né in quella di Treviso.

 

Fonti

  • ACS, Registri dello Stato civile di Vicenza, n. 590 (1878).
  • 30 gennaio 1944. Convoglio RSHA Milano-Auschwitz, Proedi editore, Milano 2005, pp. 39-40 (pubblicazione relativa alla mostra dell’Associazione Figli della Shoah, Milano Palazzo della Ragione 28 gennaio- 27 febbraio 2005).
  • Foto e dati generali sulla Digital Library del CDEC.
  • La foto e la scheda compilata dal figlio di Margherita e Michelangelo, Arrigo, è pubblicata sul database delle vittime dello Yad Vashem.
  • http://www.pietredinciampo.eu/portfolio/bohm-luzzatto/.
  • Articolo apparso su La Repubblica del 19.01.2018, “Dal sacrificio dei miei nonni ebrei ho imparato a resistere al male“.
  • Articolo di Paola Ciandrini apparso su Linkedin il 19.01.2019.
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