… e in Italia?
In Italia l’eventualità di introdurre una legislazione eugenetica non verrà mai presa seriamente in considerazione, né a livello politico né scientifico. Le teorie lombrosiane otterranno un riconoscimento internazionale, contribuendo non poco, in altri paesi, a condizionare studi di eugenetica sociale apertamente compromessi con le congetture della degenerazione e della selezione sociale. Ma esse non basteranno a determinare, in Italia, i medesimi risvolti pratici che altrove faranno invece seguito al fermento scientifico.
All’interno della comunità scientifica ed intellettuale italiana, i radicalismi sterilizzatori stranieri verranno guardati con poco entusiasmo, se non apertamente condannati. Prima che attorno agli atteggiamenti dell’alleato tedesco si creasse un clima di censura, la politica di sterilizzazione della Germania nazista aveva suscitato forti critiche nel mondo intellettuale italiano, che ne aveva contestato non solo l’utilità a livello demografico, ma anche la liceità dal punto di vista etico.
E. Morselli “L’uccisione pietosa” – 1922
Nel testo, emblematico della posizione moderata degli eugenisti italiani, l’autore prende le distanze dai radicalismi stranieri ritenuti eccessivi
Intorno al 1936 cominceranno ad essere pubblicati in Italia una serie di pamphlet razzistici. Pubblicazioni che aumenteranno a dismisura subito dopo la presa di posizione filonazista del regime, e successivamente con la pubblicazione del “Manifesto degli scienziati razzisti” e le leggi antisemite. Al “Manifesto”, un documento diffuso nel luglio del 1938 e preparato probabilmente da Landra, uno studioso di mediocre livello, su ordine di Mussolini, aderirono pochi dei personaggi principali del mondo scientifico italiano. Tra di essi Nicola Pende, Arturo Donaggio, Giulio Cogni. In generale si può dire che in Italia, almeno a livello pubblicistico, raramente ci si avvicinò agli estremisti tedeschi, impegnandosi piuttosto nel tentativo di legittimare un’ascendenza “ariana” per la stirpe italica senza per questo rinunciare alla sua originalità “mediterranea”. In questo panorama, stona senz’altro la filosofia della razza di Julius Evola, il principale dei teorici razzisti italiani dell’epoca, il cui “Il mito del sangue” (1937), una misticheggiante utopia della razza superiore, a metà tra spirito e biologia, si avvicinava pericolosamente alle fantasie propugnate nella Germania hitleriana.