La psichiatria tedesca, l’eugenetica e l’eutanasia

La psichiatria tedesca , l’eugenetica e l’eutanasia

 

Le teorie sviluppate negli anni Venti aprirono una sorta di “breccia” nella comunità scientifica tedesca. Il concetto di “eutanasia di Stato” divenne una questione lecita di dibattito.

Tuttavia la motivazione economica non appariva ancora sufficiente per passare dalla teorizzazione alla pratica della soppressione delle “vite indegne di essere vissute”. Il nazismo avrebbe completato le teorie “economiche” aggiungendovi il suo progetto razziale.

Sin dai primi anni Venti, Adolf Hitler aveva teorizzato la necessità di proteggere la razza ariana germanica da tutti quei fattori di “corruzione” che avrebbero potuto indebolirla. Il nazismo predicava un progetto di “eugenetica” vale a dire coltivava l’idea di ottenere un miglioramento della “razza” germanica coltivando e favorendo i caratteri ereditari favorevoli (“eugenici“) e impedendo lo sviluppo dei caratteri ereditari sfavorevoli (“disgenici“). All’interno di questo progetto di eugenetica non trovavano ovviamente posto i malati incurabili e i disabili fisici e psichici.

L’idea nazista di eugenetica è riassunta perfettamente nelle parole di Heinrich Wilhelm Kranz (1897-1945) direttore dell’Istituto di Eugenetica dell’Università di Giessen:

Esiste un numero assai elevato di persone che, pur non essendo passibili di pena, sono da considerarsi veri e propri parassiti, scorie dell’umanità. Si tratta di una moltitudine di disadattati che può raggiungere il milione, la cui predisposizione ereditaria può essere debellata solo attraverso la loro eliminazione dal processo riproduttivo.

 

 

Buona parte del mondo psichiatrico tedesco si schierò in modo sorprendentemente veloce con le teorie naziste. Carl Schneider, professore di psichiatria, aveva innovato il trattamento dei malati di mente introducendo la teoria del lavoro. Convinto che le istituzioni manicomiali dovessero mantenersi da sole aveva, con un certo successo, impiegato i malati in attività produttive destinate ad autofinanziare gli Istituti psichiatrici. Benché dunque avesse superato le obiezioni economiche degli anni Venti, Schneider nel 1939 scriveva: “La completa trasformazione della psichiatria porta con sé una concezione biologica della vita psichica”.

 

La psichiatria tedesca si era arresa di fronte al progetto eugenetico nazista. La malattia mentale veniva ricondotta ad un puro problema di eredità genetica. Veniva abbandonata l’idea di lottare contro la malattia e si firmava di fatto l’autorizzazione scientifica alla soppressione fisica dei malati in nome della purezza della razza.

 

 

In effetti, la Germania non era l’unico Paese in cui si discuteva di tali tematiche

L’eugenetica (dal greco ‘buona nascita’) trova la sua origine, come fenomeno scientifico, nella seconda metà del XIX secolo. Nel 1883 l’inglese Francis Galton, considerato il ‘padre fondatore’ di questa disciplina, la definisce come lo “studio dei fattori sotto controllo sociale che possono migliorare o peggiorare la qualità razziale delle generazioni future”.

Lo sviluppo del pensiero eugenista va inserito nella cornice storica, sociale e soprattutto scientifica dell’Ottocento. Il Traité des dégenérescences phisique, intellectuelles et morales de l’espèce humaine del francese Morel (1857), in cui si avanzava l’ipotesi della trasmissione ereditaria di ogni tipo di patologia (dalla criminalità, all’alcolismo, alla malattia mentale, alla povertà), apre un’epoca. L’ipotesi di Morel viene da più parti ripresa, estesa e rafforzata, come nel caso de L’uomo delinquente di Cesare Lombroso (1876). La degenerazione diviene metafora di un regresso alla bestialità, al primitivismo, lo stato biologico assolutamente antitetico all’evoluzione ed al progresso della società umana. Per questi motivi diviene necessario impedirne la propagazione attraverso un intervento attivo sulla popolazione.

Nei primi decenni del Novecento si consuma un processo di radicale strumentalizzazione politica dell’eugenetica. Da strumento di salvaguardia biologica della specie, l’eugenetica viene trasformata in dispositivo di pianificazione ‘demografica’, posto a difesa dell’integrità e della standardizzazione non solo razziale, ma anche morale, economica, sociale della nazione. L’eugenetica di Stato viene così indirizzata verso coloro che sono considerati come fonti di potenziale destabilizzazione per l’ordine sociale, come i delinquenti o le altre ‘classi pericolose’; o verso quelli che sono ritenuti ‘improduttivi’, come malati ereditari, portatori di handicap, poveri. Infine le sterilizzazioni forzate, il principale strumento attraverso cui verrà messo in pratica il progetto eugenista, acquisiscono spesso parametri etnici, nel momento in cui vengono indirizzate nei confronti di gruppi ‘razzialmente inferiori’, stigmatizzati come ‘pericolosi’ o ‘degenerati’. L’eugenetica diviene un meccanismo per esasperare il discrimine tra una cittadinanza produttiva e normalizzata e una ‘non cittadinanza’.

A parte il caso nazista, dove l’applicazione su larghissima scala della politica di sterilizzazione va compresa innanzitutto in relazione alla sua caratterizzazione totalitaria e al delirio della purificazione razziale, è necessario analizzare le prassi sterilizzatorie degli altri Stati (il Canada, gli Stati Uniti, la Svizzera, la Svezia e gli altri paesi dell’area scandinava). Esse sono state funzionali alle logiche dello sfruttamento, al consolidamento della disuguaglianza, all’imposizione di un modello assoluto ed unico di ‘normalità’. Partendo dall’entificazione di una razza, di un gruppo, di una classe o di un modello, l’eugenetica si è avvalsa, per proteggere le sue inique gerarchie, oltre che dell’uso monopolistico della forza, e spesso della violenza indiscriminata, di ‘indiscutibili’ assiomi pseudoscientifici o delle ‘razionali’ pianificazioni di intellettuali spesso compromessi col potere. E questo non solo in ragione di una ideologia esplicitamente razzista, ma in connivenza con le retoriche di civiltà e tolleranza che hanno circondato, e circondano tuttora, le democrazie occidentali.

Questa forma di persecuzione politicamente imposta e legittimata continuerà, in Scandinavia come negli Stati Uniti, fino agli anni ’70 del Novecento.

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