Svezia
I paesi dell’area scandinava potevano vantare, agli inizi del Novecento, una delle principali comunità di eugenisti presenti nel panorama mondiale. Tra di essi lo svedese Lundborg, il cui attivismo aveva portato nel 1922 alla costituzione, a Uppsala, dell’Istituto svedese di Biologia Razziale, un’istituzione unica al mondo nel suo genere fino a quel momento, ed il norvegese Mjøen, a lungo massima autorità europea in materia di eugenetica. Le politiche di sterilizzazione, varate tra il 1929 ed il 1935 in Danimarca, Svezia, Norvegia e Finlandia, assumeranno negli anni successivi delle notevoli similitudini, a loro volta determinate dalla condivisione di un medesimo modello culturale, sociale ed economico. In tutti i casi si cercherà una legittimazione nelle congetture pseudoscientifiche sulla degenerazione, ma nella realtà saranno le ragioni del Welfare State a prevalere. Tra di essi, quello svedese è probabilmente il più eclatante, considerando il posto che questo paese ha occupato, nell’immaginario collettivo, in relazione a presunti archetipi di ‘progresso’ e ‘civiltà’.
Anche in Svezia il motivo della bonifica dagli elementi biologicamente tarati rimarrà in seguito ridondante nella propaganda eugenetica, ma il ricorso alle retoriche degli svedesi “di serie A” servirà da mero pretesto, mascherando un intervento repressivo di ordine socio-economico che teneva in considerazione, molto più che fattori razziali, un paradigma di “buona cittadinanza” plasmato nel rispetto di un’etica calvinista e puritana. Nel 1934 verrà varata la prima legge svedese per la sterilizzazione eugenetica, poi estesa nel 1941 a nuove categorie di marginali. L’obiettivo era di eliminare dal ciclo riproduttivo gli individui moralmente ed economicamente incapaci di assicurare ai propri figli un’educazione ‘appropriata’.
Eugenetica al femminile
La macchina sterilizzatoria svedese ebbe come suo principale, quasi esclusivo bersaglio, le donne. L’eccessiva prolificità venne stigmatizzata sia come deleteria per l’ethos collettivo, sia per il bilancio pubblico, prevedendo il Welfare-State un sistema di assegni di maternità. Delle oltre 60.000 sterilizzazioni effettuate in Svezia tra il 1934 ed il 1976, anno in cui la legge eugenetica venne definitivamente accantonata, circa il 95% riguardano donne. Risentire di uno stato depressivo, alzarsi tardi al mattino, avere amicizie maschili, parlare liberamente in pubblico della propria vita sessuale, seguire svogliatamente le lezioni scolastiche o le funzioni religiose, o semplicemente andare a ballare, divennero così tutti atteggiamenti potenzialmente destabilizzanti. Atteggiamenti da stigmatizzare e reprimere attraverso la sterilizzazione, la cui necessità veniva decretata da compiacenti diagnosi di “schizofrenia”, “devianza”, “irresponsabilità morale” di medici al servizio dell’organigramma normalizzatorio svedese.
La legge eugenetica svedese del 18 maggio 1934
§1 Qualora si possa ritenere che qualcuno -sofferente di malattia mentale, minorazione mentale o altro squilibrio dell’attività mentale- sia per tale ragione incapace di assicurare la cura dei propri figli, o sia destinato a trasmettere ai suoi discendenti in base alla legge dell’ereditarietà tale malattia mentale o minorazione mentale, è possibile, secondo la presente legge, intraprendere la sterilizzazione, laddove questi -a causa delle sue disturbate funzioni mentali- sia permanentemente incapace di fornire un consenso valido all’intervento.
§2 La sterilizzazione, con l’eccezione dei casi stabiliti al punto 3, può essere compiuta esclusivamente su autorizzazione della direzione degli affari sanitari. Tale autorizzazione non può essere concessa senza che abbiano preventivamente avuto la possibilità di pronunciarsi:
– Il coniuge, se l’individuo candidato alla sterilizzazione è sposato;
– Chi esercita la patria potestà, se si tratta di un minore;
– Il tutore, nel caso in cui il paziente sia stato dichiarato incapace di intendere;
– Il medico o il responsabile dell’istituto presso il quale il paziente è ricoverato.
§3 Qualora due medici abilitati, previo consulto reciproco, ritengano che vi sia motivo di procedere alla sterilizzazione di un minorato mentale in base al punto 1, la sterilizzazione può essere portata a termine senza la autorizzazione della Direzione dei servizi sanitari.
(in Colla P.S., La politica di sterilizzazione in Svezia 1934-1975, “Rivista di Storia Contemporanea”, 3, pp. 332-333, traduzione di Alessandro Berlini)
Testimonianza di Maj Karlsson, sterilizzata nel 1945
Mi chiamo Maj Britt Karlsson, ho 70 anni, sono divorziata e ho due figli. In realtà, subito dopo questi due figli, ero rimasta incinta una terza volta. Subito, però, mi resi conto che non era possibile. Come potevamo mettere al mondo un terzo figlio nella modesta situazione economica della nostra famiglia? La nostra casa era minuscola: due vani senza cucina. Nel lavabo dove lavavo i miei figli, lavavo anche piatti e indumenti. Non potevo proprio accettare un terzo figlio. Decisi di abortire. Il mio medico mi ascoltò e per tutta risposta mi disse che quel che dicevo non aveva senso, che non era possibile fare quanto chiedevo, che mi comportavo come una persona mentalmente instabile. Mi spedì con una lettera da uno psicologo al quale spiegai tutta la situazione chiedendo di poter abortire.
Lo psicologo, che intanto aveva letto la missiva del suo collega, mi disse che non potevo abortire. Gli chiesi perché e lui per tutta risposta mi comunicò che, se volevo abortire, avevo solo una possibilità: dovevo anche farmi sterilizzare. “Me lo ha scritto il suo medico”, concluse.
Dopo qualche giorno mi arrivò una lettera che affermava che avevo accettato di farmi sterilizzare. Andai in un ospedale vicino a Stoccolma. Arrivai alle 10 di mattina e mi assegnarono subito un letto. Arrivò un medico e mi chiese come mi sentivo. Gli risposi che ero depressa e arrabbiata perché, per poter abortire, mi veniva imposto anche di farmi sterilizzare. Lui mi disse che aveva letto la mia cartella clinica e che, formalmente, ero stata io a chiedere di essere sterilizzata. Montai su tutte le furie. Gli dissi che, in quell’occasione, volevo solo abortire ma che in seguito, se le cose fossero migliorate, avrei voluto altri figli. Altro che sterilizzazione…
Mi fecero degli esami. Mi trattavano come una bestia. Mi infilarono un ferro ancora caldo nella vagina, non so per quale ragione. Ero indolenzita, disperata. Un giorno, di punto in bianco, mi portarono in sala operatoria e mi diedero qualcosa per addormentarmi. Quando finì tutto mi trovai con un aborto alle spalle: ma ormai ero una donna a metà. Mi avevano sterilizzato. Avevo solo 26 anni.
(intervista a cura di Gianni Cirone, riadattata da Alessandro Berlini)