Presentazione
La mostra “Dal rifugio all’inganno. Storie di ebrei internati in Provincia di Vicenza” è il risultato di una lunga ricerca condotta da Antonio Spinelli che ha visto il coinvolgimento di docenti, alunni, esperti, storici, testimoni.
Attraverso i documenti dell’Archivio Centrale dello Stato di Roma, dell’Archivio di Stato di Vicenza, del CDEC e le numerose pubblicazioni sull’argomento, la mostra ricostruisce le storie degli ebrei costretti al cosiddetto “internamento libero” nei Comuni e quelle degli ebrei detenuti nel Campo di Concentramento Provinciale di Tonezza del Cimone.
L’intento è quello di unire la storia locale, le memorie delle persone che hanno vissuto le vicende narrate e che spesso hanno messo a rischio la propria vita per salvare gli ebrei dal piano di sterminio nazi-fascista, come nel caso di don Michele Carlotto, con la storia universale, gli anni della Seconda guerra mondiale, i difficili momenti del dopo 8 settembre, l’invasione tedesca e le deportazioni degli ebrei dall’Italia.
Il visitatore può seguire il difficile cammino di chi, perseguitato in tutta Europa, negli anni tra il 1941 e il 1943, raggiunse l’Italia nella speranza di poter trovare un rifugio dall’odio, dalla barbarie, dalla condanna senz’appello dichiarata dai fascismi agli ebrei e a tutte le “categorie” ritenute inferiori.
L’illusione si trasformò nella tragedia di tutti coloro che dovettero presto rendersi conto che l’apparato discriminatorio e razzista dell’Italia sarebbe passato dalla persecuzione dei diritti alla persecuzione delle vite. Fu così che, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, nel territorio della Repubblica Sociale Italiana furono creati nuovi campi di concentramento per internare quegli ebrei che poi finirono piombati sui treni verso Auschwitz. Tra quei campi, c’era la Colonia Umberto I di Tonezza del Cimone dove furono tenute prigioniere 45 persone dal destino segnato: caricate sul convoglio n° 6 del 30 gennaio 1944 furono portate ad Auschwitz senza fare più ritorno.
La mostra però vuole anche soffermarsi sugli oltre 500 ebrei, internati in quasi 30 comuni della provincia di Vicenza, che riuscirono a fuggire dall’internamento libero, dandosi alla clandestinità, cercando riparo in Svizzera o nel sud d’Italia liberato dagli Alleati o spesso nascosti grazie alla pericolosa scelta dei vicentini di ospitarli nelle proprie case. Senza essere eroi, come ricorda lo stesso don Michele Carlotto che ha scritto: “Facevo solo quello che mi suggeriva la mia coscienza”.
Ciò che ha ispirato la mostra è questo lavoro della memoria che si pone in ascolto delle memorie, questo stare sui confini di un’umanità dispersa che s’aggrappa alla vita, questo non voler lasciare, nel tempo, che il silenzio diventi oblio.
Contro il processo di spersonalizzazione voluto dal nazi-fascismo, la mostra vuole riconsegnare dignità ai perseguitati a partire dal pronunciamento del loro nome e dal racconto delle loro storie.
Contro la stigmatizzazione del diverso, delle minoranze, di chi “viaggia in direzione ostinata e contraria”, la mostra vuole parlare al presente ed essere, una volta in più, indicazione per le nuove generazioni affinché sappiano che “si può sempre dire un sì o un no”, che si può essere cittadini sulla strada dei diritti dell’uomo, rigettando il pregiudizio, la creazione del nemico, l’odio, la violenza.