Il controllo

Il controllo sugli ebrei internati

 

Sin dal loro arrivo in Provincia di Vicenza, gli ebrei furono sottoposti ad un duro regime di controllo disposto a livello ministeriale, organizzato dalla Questura di Vicenza e reso operativo non solo dalle autorità locali e dalle stazioni dei Carabinieri, ma anche grazie ai continui esposti del Partito Nazionale Fascista e alle delazioni e alle denunce dei singoli cittadini.

Ogni movimento, ogni incontro, ogni parola, ogni sfogo, ogni contatto umano e a volte improntato ad amicizia e amore con italiani, ogni cosa veniva osservata e comunicata agli enti preposti. Se si considera, inoltre, che tutte le lettere passavano dall’Ufficio Censura, si capisce come il controllo fosse totale.

Appena giunti nei comuni, gli ebrei erano attesi dalle prescrizioni e le autorità facevano di tutto per vigilare sulla loro mancata applicazione e per renderle effettive.

 

 

In moltissimi casi, si pose rimedio alle violazioni dei divieti e alla mancanza di disciplina proponendo l’internamento in campi di concentramento che quasi sempre era Ferramonti di Tarsia.

 

Come detto, ogni atteggiamento e ogni parola proferita dagli internati veniva ripresa e ampliata da singoli cittadini o dai carabinieri stessi, in lettere che hanno il sapore dell’invettiva contro gli abitanti dei vari comuni o il lassismo nei controlli e che si concludevano immancabilmente con il richiamo a soluzioni radicali:

Si ritiene pertanto doveroso rappresentare quanto sopra affinché (…) si addivenga all’internamento degli ebrei stranieri in appositi campi di concentramento, tenuto conto che essi, benché venissero concentrati in un unico locale nei comuni ove attualmente sono, avrebbero ugualmente la possibilità di svolgere agevolmente la loro attività dannosa alla nazione in guerra, perché durante il giorno godrebbero lo stesso di una certa libertà e per quanto assidua fosse la vigilanza esercitata su di essi, non sarà mai sufficiente per impedire i loro approcci con la popolazione che li ospita.

Altrove si scrive:

GLI EBREI SIANO TUTTI CONCENTRATI E VIGILATI DA SENTINELLE ARMATE, se non si vuole che in questo settore del fronte interno si notino tentennamenti o peggio diserzioni.

 

 

Dall’altra parte, se per molti profughi dell’est europeo l’internamento in Italia era sinonimo di rifugio, per le autorità italiane si era trattato di “allontanare i suddetti da questa Provincia (nel caso presente quella del Cattaro, in Albania, ndr.), per eliminare, così, elementi infidi e pericolosi, che avrebbero ostacolato la nostra penetrazione e la nostra affermazione in queste terra”.

 

 

Nel giro di due anni gli ebrei avrebbero conosciuto la disillusione e l’inganno e per ultima la deportazione verso i campi della morte.

 

Anche la popolazione locale veniva sottoposta a forti pressioni circa i loro rapporti con gli internati. Dopo i dovuti accertamenti i carabinieri non esitavano ad invitare gli interessati in Questura e ad interrogarli.

 

 

Tutti i risultati delle indagini e dei sopralluoghi venivano prontamente riferiti al questore. Erano annotati e verificati spostamenti, riunioni di ebrei, organizzazione di mense comuni, rispetto degli orari e così via. Nel caso di situazioni non regolamentari scattavano le diffide del caso.

 

 

Nel mirino delle autorità finivano spesso le frequentazioni degli ebrei con donne del luogo e viceversa. In questi casi la vigilanza era altissima, le lamentele e gli esposti numerosi, ma né i carabinieri né il podestà né il questore sembravano poter fare molto per arginare i rapporti che si venivano a creare, pur tenendo in considerazione che molti ebrei subivano, per questi comportamenti, l’internamento in campi di concentramento, il trasferimento in altri comuni o il carcere. 

 

 

Alcuni genitori internati a Camisano, dopo l’arresto delle figlie, scrissero una lettera di scuse al questore, chiedendone il rilascio.

 

 

Non mancarono i controlli e le denunce a carico di membri della Chiesa cattolica, come accadde a monsignor Giuseppe Girardi, accusato di aver aiutato gli ebrei, assistendoli, fornendo loro degli alimenti, facendoli collaborare all’organizzazione della proiezione di film e permettendo loro di assistervi.

 

 

In rari casi erano gli ebrei stessi ad esporre il loro malessere e le loro preoccupazioni sui comportamenti dei cittadini locali, come a Lonigo dove Grani denunciò un clima fatto di attacchi gratuiti, offese e ingiurie nei confronti degli internati. L’apice fu raggiunto quando venne trovata una scritta sui muri di fabbricati locali: “ogni ebreo una spia”.

Il Podestà risponde affermando che “in pochissimi casi qualche studente o giovane fascista ebbe ad esprimere pubblicamente antipatia verso gli ebrei, senza tuttavia disturbarli nella loro vita normale ed oziosa. Si può invece assicurare che gli ebrei qui internati sono trattati da questa cittadinanza con perfetta urbanità di modi e talvolta con eccessiva cortesia.”

 

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