Le poche cose – Prefazione

Prefazione di Liliana Picciotto

Frutto di una accurata ricerca documentaria, questo scritto di Paolo Tagini ci offre un lavoro puntuale su uno dei fenomeni meno esplorati della storia del fascismo, cioè l’internamento dei cittadini stranieri all’indomani dell’entrata in guerra dell’Italia nel giugno del 1940.

Questo provvedimento era un usuale strumento difensivo adottato da una nazione in guerra, regolato dalla Convenzione di Ginevra sul trattamento dei prigionieri di guerra. Ad esso però furono sottoposte categorie di cittadini non aventi alcuna relazione con motivi bellici, ma solo in considerazione di un supposto pericolo per la sicurezza nazio­nale o l’ordine pubblico, oppure semplicemente per essere ebrei. L’in­ternamento, da provvedimento cautelare contro cittadini nemici, diven­ne così anche strumento di repressione politica sia verso i sospetti di sovversione, sia verso gli ebrei appartenenti a certe nazioni o divenuti apolidi a causa delle legislazioni antiebraiche dei rispettivi paesi.

II 26 maggio 1940, Guido Buffarini Guidi, sottosegretario all’Inter­no, si era espresso chiaramente sul carattere anche antiebraico dei pros­simi internamenti, inviando al capo della polizia Arturo Bocchini un te­legramma che si riferiva specificatamente agli ebrei: «Il Duce desidera che si preparino dei campi di concentramento anche per gli ebrei, in ca­so di guerra. Ti prego di riferire direttamente».

II 15 giugno, il processo decisionale era giunto a compimento, il ca­po della polizia Arturo Bocchini emanò infatti l’ordine di arrestare specificatamente gli ebrei stranieri: «Appena vi sarà posto nelle carce­ri, ciò che dovrà ottenersi sollecitando traduzione straordinaria indi­vidui già arrestati ai campi di concentramento loro assegnati, dovrà procedersi rastrellamento ebrei stranieri appartenenti a Stati che fan­no politica razziale. Detti elementi indesiderabili imbevuti di odio contro i regimi totalitari, capaci di qualsiasi azione deleteria, per dife­sa Stato et ordine pubblico vanno tolti dalla circolazione. Dovranno pertanto essere arrestati ebrei stranieri tedeschi, ex cecoslovacchi, po­lacchi, apolidi della età di diciotto a sessanta anni».

Iniziò così un penoso periodo di vita sotto sorveglianza, quando non di vero e proprio campo di internamento (soprattutto a Ferramon­ti di Tarsia e a Campagna) per migliaia di ebrei stranieri profughi in Ita­lia, in fuga dall’ avanzata delle armate tedesche.

Il caso che ci viene cosi egregiamente presentato è quello del grup­po degli ebrei internati in “residenza coatta” ovvero in “internamento in località” o in “libero internamento” in provincia di Vicenza.

La maggior parte di questi ebrei furono internati in Italia, fatti afflui­re dal territorio recentemente annesso all’Italia della Dalmazia. La tor­tuosa ratio di questo meccanismo era che gli ebrei stranieri presenti su quel territorio erano soggetti ad internamento tanto quanto quelli resi­denti sul territorio nazionale, ad essi, per la stessa legge, venivano asso­ciati quelli ritenuti «pericolosi nelle contingenze belliche». Poiché le car­ceri dalmate erano troppo affollate, il governatore Bastianini chiese insi­stentemente che questo gruppo di più di mille persone scontasse l’inter­namento in territorio italiano vero e proprio. Tra novembre e dicembre del 1941, 1252 ebrei furono così spostati e internati in stato di residenza coatta nelle province di Vicenza, Treviso, Asti, Aosta, Parma e altre.

Del gruppo, nella sola provincia di Vicenza ne vennero “internati” circa 250, sui quali questo studio ha acceso i riflettori e ha applicato la lente di ingrandimento.

Ma in provincia di Vicenza molti altri ebrei stranieri furono interna­ti. Tagini è riuscito a rintracciarne 615, il relativo elenco occupa un ter­zo del libro ed è corredato dei dati anagrafici di ognuno, della naziona­lità e del percorso individuale di fuga attraverso l’Europa sconvolta, dei diversi luoghi o campi di internamento italiani subiti, della sorte fi­nale. Stupisce la precisione delle notizie raccolte e l’imponente messe delle fonti analizzate, prima fra tutte l’Archivio centrale dello Stato a Roma, Ministero dell’Interno, Direzione Generale della Pubblica Sicu­rezza nelle sue varie articolazioni e molte altre.

Il libro di Tagini ha tra l’altro il merito di riprendere il filo di questioni aperte in altri lavori di storia e rimaste in un certo senso irrisolte. Per esempio, ritroviamo nel suo elenco di internati a Vicenza 28 ebrei stranieri facenti parte del gruppo di Bengasi, di coloro cioè che aveva­no cercato di raggiungere la Palestina partendo dal porto libico e che erano rimasti colà bloccati a seguito della dichiarazione di guerra dell’Italia e internati in Italia. lo stessa nel 2003 scrissi la prefazione ad un commovente diario di una ragazzina facente parte del gruppo e salvatasi con la famiglia (Regina Zimet-Levy, Al di là del ponte, Garzanti) grazie alla generosità dei contadini di…, senza però conoscere la sorte degli altri 299 sfortunati viaggiatori.

Un’altra novità è aver scovato le tracce di Paul Peisach Wald e del padre Schachun, vittime dell’eccidio tedesco delle Fosse Ardeatine del 24 marzo 1944. Finora non sapevamo nulla o quasi di loro: da dove ve­nivano, quando erano entrati in Italia, se avevano subito l’internamen­to prima del loro arresto e fucilazione. Ora ce li ritroviamo qui, tra gli internati in provincia di Vicenza e apprendiamo che Paul Pesach era stato tradotto da Fiume a Vicenza con il convoglio di internandi del 22 novembre 1941 e che il 10 settembre si era allontanato “arbitrariamen­te” dall’internamento; possiamo completare la sua biografia con i dati a noi noti: riuscì a sfuggire alla cattura dirigendosi verso sud, fu arre­stato nei pressi di Roma, a Civitaquana, e incarcerato a Regina Coeli, da dove fu fatto uscire per subire il massacro. Il padre, Schachun Wald, a sua volta da Bratislava, il 15 maggio 1940, si era imbarcato sulla nave Pentcho, con un gruppo di circa 500 profughi che accarezzavano l’im­probabile idea di raggiungere la Palestina navigando prima lungo il fiume Danubio e poi via mare.

L’imbarcazione era nulla più che un vapore fluviale con grandi ruo­te a mulino, del tutto inadatto alla navigazione marittima. Allargo del Dodecaneso, l’imbarcazione aveva cominciato a imbarcare acqua e la salse dine a danneggiarne i motori, sicché aveva dovuto proseguire con vele di fortuna fatte con lenzuola da letto. Si era trascinata così fino all’isoletta di Camillanissi nel Dodecaneso, dove i profughi erano riu­sciti, faticando tutta la notte, a sbarcare con i bambini e i viveri, prima dell’ affondamento. Persa ogni speranza di salvezza, il quinto giorno, i naufraghi furono avvistati da un aereo e trasferiti in nave nella vicina isola di Rodi, per essere di nuovo trasferiti nell’inverno del 1942 nel campo di internamento di Ferramonti di Tarsia. Ma l’odissea di Wald padre non era finita qui: da Ferramonti venne trasferito per ricongiun­gersi al figlio in provincia di Vicenza, a Roana, da dove si allontanò ar­bitrariamente il 10 settembre del 1943. I due Wald furono in seguito ar­restati sulla via della loro fuga e finirono vittima del massacro delle Fosse Ardeatine.

Una menzione particolare va fatta anche al lavoro, inserito in questo libro, di Antonio Spinelli sul campo provinciale di concentramento nel­la colonia “Umberto l” di Tonezza del Cimone. Uno dei 30 campi pro­vinciali istituiti il 20 dicembre 1943 dalla Repubblica sociale italiana a seguito della decisione del governo italiano del 30 novembre 1943 di arrestare tutti gli ebrei. Decisione gravissima che costò la deportazione a 42 (o 44, il dubbio sussiste) ebrei arrestati in provincia di Vicenza. È questo un pesante bilancio, anche se alleviato dalla consolazione che la maggior parte degli internati elencati ha potuto salvarsi e spesso grazie alla solidarietà della popolazione del luogo. Felice coda di questa vi­cenda è stata la recente scoperta di Spinelli della sorte toccata a 38 de­gli internati in provincia di Vicenza fuggiti verso il Sud Italia. A Roma liberata, essi furono aggregati ad un gruppo di scampati alle persecu­zioni e, nell’agosto 1944, caricati sulla nave Henry Gibbins che li portò sani e salvi a Fort Ontario negli Stati Uniti con una missione umanita­ria voluta dal presidente Roosevelt.

Settembre 2006

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