Storie – Padova 1940-1945

Storie

Padova 1940-1945

 

1. Nathan Schmierer

Per comprendere maggiormente le vie percorse dagli ebrei entrati in Italia tra il 1938 e il 1939, il loro sbandamento davanti alle decisioni dei diversi paesi che li perseguitavano o che non li accettavano, il tentativo di trovare un luogo sicuro e un senso al proprio girovagare, la storia di Nathan Schmierer può dare un contributo sostanziale.

Il 3 settembre 1939 una comitiva di dodici ebrei germanici si spostò da Genova a Mantova presentandosi alla locale Comunità ebraica con una lettera redatta il giorno prima dall’Università Israelitica di Genova e firmata da A. Leoni [1]. Tra loro il venticinquenne Nathan che, identificato insieme agli altri ebrei, declinò le proprie generalità: domiciliato a Zurigo, aveva un passaporto tedesco rilasciato dal Consolato di Germania a Zurigo il 21.12.1938, valido per un anno e contrassegnato dalla lettera “I” in rosso [2]. Era entrato nel Regno il 15.8.1939 dal valico ferroviario di Chiasso. Subito prima di lui, nell’elenco della Prefettura, compariva Anny Schmierer, nata Reindl. Accanto al suo nome erano riportati gli stessi dati di Nathan. Nessuna informazione su eventuali legami di parentela, ma su questo punto si tornerà più avanti. Va aggiunta subito una tessera del puzzle: mesi prima, il 13 novembre 1938, il prefetto di Trieste aveva segnalato che Nathan era entrato il 28 ottobre dal valico di Postumia grazie ad un permesso eccezionale perché diretto alla frontiera di Chiasso.

La lettera di accompagnamento con cui viaggiano i dodici fu spedita anche alla Comunità ebraica di Padova [3]. Si tratta, quindi, con ogni probabilità di una comunicazione che l’Università Israelitica di Genova inoltrò alle varie comunità e non solo a quella di Mantova, anche se riferendosi a gruppi diversi di ebrei: un grido di aiuto per una situazione di difficile gestione.

L’enorme afflusso di emigranti che qui si è venuto a verificare in conseguenza delle mancate partenze di piroscafi e da ultimo dalla evacuazione di elementi ebraici da Ventimiglia ha posto questo Centro di assistenza che fino ad ora ha sostenuto enormi ed indescrivibili sacrifici nella assoluta impossibilità di continuare in questa doverosa opera verso tanti disgraziati confratelli privi di ogni mezzo di sussistenza. L’attuale situazione non consiglia di tenere concentrati in un’unica città oltre un migliaio di elementi stranieri come attualmente risultano qui in Genova che in causa della loro terribile indigenza potrebbero indubbiamente provocare disposizioni dalle Autorità contrarie all’opera fino ad ora prestata. A evitare tale dolorosa contingenza sono venuto nella determinazione di ripartire tale enorme carico tra le varie Comunità che non dubito sapranno prodigare a tanti infelici quella assistenza che fino ad ora non abbiamo mancato di porgere loro nonostante gli evidenti sacrifici in attesa che la bontà divina conceda per tutti i sofferenti quella tranquillità che ardentemente viene invocata. Scialom.

Il prefetto di Mantova, Raffaele Montuori, allarmato da questa presenza e reso edotto dalla circolare ministeriale n. 443/74795 del 25 luglio 1939, chiese al Ministero quali provvedimenti dovesse prendere e se dovesse allontanarli facendoli uscire dal Regno. La circolare, infatti, chiedeva alla polizia di frontiera di controllare gli ebrei stranieri che soggiornavano nei pressi del confine italiano. Il sospetto era che questi ebrei dichiarassero di essere lì per uno dei motivi consentiti (turismo, diporto, cura, studio, affari), ma che in realtà stessero tentando di “entrare clandestinamente in altro paese, e specialmente in Francia” [4].

Attraverso la storia di Nathan si nota allora che il problema dell’afflusso degli ebrei in Italia non riguardava solamente i confini orientali né tantomeno quelli con l’Austria, ma anche le frontiere con la Francia e con la Svizzera dove si trovavano ebrei tedeschi o di altra provenienza i cui documenti stavano per scadere e che non avrebbero più avuto un posto sicuro nemmeno in Svizzera. La storia di Giuseppe Israel Oppenheimer [5], anche se non collegato con Padova, può essere illuminante. Fu fermato dalla Milizia Confinaria di Tubre il 24 aprile 1940 senza documenti. Trattenuto a Silandro, fu interrogato dall’ufficio di pubblica sicurezza. Affermò di provenire da Zurigo e di essere stato avviato alla frontiera italiana dalla polizia svizzera, “la quale alle ore 19 del 23 aprile 1940, mi ha indicato di attraversare il confine italiano, in corrispondenza al Cippo n. 19 in Val da Vigna. Infatti passai la decorsa notte nel bosco e stamane entrai in Italia (…), con l’intenzione di recarmi a Merano (…)”. Il prefetto di Bolzano propose subito che fosse allontanato dall’Italia attraverso la stessa frontiera. L’operazione fu eseguita e il 6 maggio Giuseppe Oppenheimer dovette lasciare il Regno. Non era la prima volta che provava ad entrare in Italia. Già il 16 luglio 1939, con un regolare passaporto, era riuscito ad attraversare il valico di Chiasso. Il Consolato Generale germanico di Milano gli ritirò il passaporto munendolo di un’attestazione. Da Milano si recò a Tirano dove il locale Commissariato di P. S. prese atto della situazione e lo accompagnò alla frontiera svizzera. Questo studente ebreo, che non aveva ottenuto dalla Svizzera il permesso di completare i suoi studi, era stato anche dichiarato in contravvenzione per omessa denuncia del soggiorno e condannato al pagamento di 60 franchi. Alle autorità italiane nel 1940 dichiarò che voleva tornare in Svizzera per tentare di raggiungere gli Stati Uniti [6]. Non si conosce il seguito della sua storia, ma risulta, come i suoi genitori e gli altri membri della famiglia nel continente americano, precisamente a Buenos Aires dove è morto il 19 marzo 1981 [7].

Quanto esposto brevemente era dunque lo specchio della già citata circolare n. 443/76596 del 19 agosto 1939 in cui si comunicava che “tali elementi indesiderabili” dovevano essere fermati, sospendendo del tutto l’ingresso degli ebrei stranieri nel Regno. Eppure il 10 novembre 1939 la Direzione Generale di P. S. dovette rivolgersi direttamente al Gabinetto di S. E. il Ministro dell’Interno per cercare una soluzione definitiva: “Nell’attuazione delle disposizioni per la difesa della razza venne, come noto, consentito, in un primo momento, a richiesta dei Ministeri della Cultura Popolare e degli Scambi e Valute, il temporaneo soggiorno nel Regno, per non oltre sei mesi, degli ebrei stranieri a scopo di cura, diporto, turismo, affari. Successivamente, essendosi constatato che di tali concessioni approfittavano quasi unicamente gli ebrei costretti ad allontanarsi da altri Stati, d’intesa con i predetti Ministeri e con quello degli Affari Esteri, furono impartite disposizioni perché fosse inibito l’ingresso nel Regno agli ebrei germanici, ex austriaci, cecoslovacchi, polacchi, rumeni e ungheresi e perché fossero allontanati dall’Italia quelli che, venuti col pretesto del turismo, vi si trattenevano senza giustificato motivo. L’esodo incontra però gravi difficoltà perché i vari Stati rifiutano loro i visti di ingresso, cosicché non resta che respingerli alla frontiera di provenienza che, per la quasi totalità, è quella tedesca. L’avv. Lelio Vittorio Valobra, di Genova, per incarico dell’Unione delle Comunità Israelitiche in Italia, si occupa dell’assistenza degli ebrei stranieri, dichiara che vi è in progetto la sistemazione all’estero di detti ebrei ed intanto chiede che sia sospeso per un mese il provvedimento di allontanamento coattivo dal regno”. Chiamato in causa, Mussolini intervenne e la relativa circolare n. 443/87210, del 21 novembre 1939, ne riporta le decisioni assunte: “Il Duce ritiene che non debbono essere accordate proroghe di soggiorno a favore di detti ebrei, ma desidera che siano fatte premure perché sia provveduto sollecitamente alla loro sistemazione all’estero” [8].

Considerato l’indirizzo del governo fascista, il 12 settembre il Ministero rispose al prefetto di Mantova autorizzandolo ad accompagnare ai valichi di frontiera gli ebrei stranieri [9], cosa che Montuori dispose nel giro di pochi giorni. Il 28 settembre, infatti, 8 dei 12 ebrei fermati furono condotti al valico di Tarvisio [10], dal quale erano entrati e dove, il giorno successivo, presero il treno n. 324. Altri tre, che andavano accompagnati a Ponte Chiasso, erano fuggiti. Tra loro Nathan, Anny e Israel Oppenheimer. Anche l’ultimo, Walter Gottlieb, destinato al valico di Postumia, si era reso irreperibile [11].

Il Ministero, nel ringraziare per le notizie ricevute, chiese al prefetto di Mantova se vi fossero state difficoltà da parte delle autorità tedesche nel far rientrare gli ebrei nel Reich [12]. Non c’è una risposta diretta. In un comunicato sul caso di Oppenheimer che riguardava il rientro via Tirano, il prefetto riferì che non c’erano state difficoltà. La domanda è comunque rivelatrice delle preoccupazioni italiane nei confronti dell’alleato tedesco, soprattutto in un periodo in cui stavano andando avanti le trattative sugli allogeni tedeschi dell’Alto Adige.

A fine ottobre i nomi dei due Schmierer, Nathan e Anny, furono indicati chiaramente come coniugi. Fermati a Genova, “hanno dimostrato di possedere 90 dollari, 20 sterline e circa 3000 lire in moneta italiana per cui hanno fatto presente di dover essere considerati turisti e come tali autorizzati a soggiornare nel Regno ove sarebbero venuti precisamente per trascorrere qualche mese a scopo di turismo per poi trasferirsi definitivamente nel Portogallo come da autorizzazione già ottenuta. Qualora pertanto non vi siano altri motivi a loro carico, ritengo che possano essere autorizzati a rimanere in Italia per il periodo massimo di sei mesi come da vigenti disposizioni” [13]. Il questore di Genova, nell’esporre quanto accaduto al suo omologo mantovano, fece emergere una volta di più quanto gli ebrei stranieri sapessero muoversi seguendo la normativa, per conoscenza diretta o con l’aiuto delle stesse Comunità o della DELASEM. La dichiarazione degli Schmierer non bastò, visto che il 18 novembre un telegramma del Ministero spense ogni speranza, disponendone l’accompagnamento alla frontiera [14]. Il messaggio fu girato dalla Prefettura di Genova a quella di Imperia [15], provincia in cui nel frattempo i coniugi si erano spostati e da cui il prefetto, Sergio Dompieri, rese noto che Nathan aveva presentato un certificato medico sullo stato di salute della moglie con cui chiedeva un mese di riposo e cura, durante il quale non poteva certo mettersi in viaggio. Il prefetto di Imperia accettò le spiegazioni di Nathan e per il momento soprassedette [16]. I documenti portano a Sanremo. Lì, infatti, i coniugi si erano stabiliti dal 1° novembre [17] in via Marsaglia 12, presso la famiglia Anfosso [18] e poi al numero 10, presso l’affittacamere Cecilia Allaria [19]. Non è l’unica novità contenuta in una successiva domanda di Nathan. Si apprende, infatti, che Anny era di religione cattolica e di “razza ariana” e che avevano un figlio di tre anni, Giuseppe. Nathan dichiarò, inoltre, di essere di religione evangelica, seppur di “razza ebraica” [20]. Il quadro si va componendo. Con un bambino piccolo, una moglie malata, come dimostreranno ulteriori certificati, e con un permesso di soggiorno scaduto, la famiglia Schmierer fu messa in un angolo dalle disposizioni amministrative e dalle difficoltà oggettive. A questo punto il Ministero chiese ragguagli [21], ma da Imperia la risposta arrivò quasi un mese dopo. Gli Schmierer, che conducevano vita ritirata, potevano contare su alcuni “mezzi sufficienti per vivere” che ricevevano tramite il Credito Italiano dalla Svizzera e speravano ancora di poter far valere la loro presenza, datata 11 gennaio, sulla lista d’immigrazione per gli Stati Uniti, come avevano saputo dal Consolato Generale Americano a Napoli. Potevano quindi riporre la loro fiducia nell’applicazione della circolare ministeriale n. 67147/443 del 24 dicembre 1939, come lo stesso prefetto suggerì, pur rimettendosi alle decisioni delle superiori autorità [22]. Il Ministero concordò e concesse la proroga [23]. Tre mesi dopo Dompieri aggiornò il Ministero affermando che Nathan era ancora in attesa di sapere quale fosse il suo turno per l’emigrazione oltre oceano [24]. Con una sensibile giravolta, il 6 giugno, il Ministero invitò il prefetto di Imperia a “diffidare gli stranieri in oggetto ad abbandonare il territorio nazionale entro breve termine, disponendone l’accompagnamento alla frontiera germanica ove non dovessero ottemperare all’ingiunzione” [25]. Gli Schmierer, però, non demorsero: il 18 giugno, infatti, furono rintracciati a Salsomaggiore dove, in un albergo, avevano dichiarato di essere ariani. Il prefetto di Parma, Sebastiano Sacchetti, fece riferimento alla memoria della burocrazia e alla circolare di otto mesi prima con la quale il suo collega di Mantova aveva diramato le ricerche, indicandoli come coniugi ebrei per i quali doveva scattare l’espulsione dal Regno [26]. Quattro giorni dopo, con un nuovo telegramma, Sacchetti rese noti i risultati delle sue ulteriori indagini sui documenti della coppia e decise di farli tornare a Sanremo, “anche perché moglie et figlio detto ebreo non potrebbero qui rimanere non essendo questa provincia compresa fra quelle assorbimento profughi” [27]. Sacchetti si tirò fuori. La vita degli Schmierer sembrava riavvolgersi e tornare sempre al punto di partenza. Un cambiamento avvenne il 6 luglio quando il Ministero ordinò l’internamento di Nathan nel campo di concentramento di Montechiarugolo, proprio nel parmense [28]. Internato il 9 [29], solo sei giorni dopo scrisse al Ministero per “stare insieme alla mia famiglia. Mia moglie soffre di una grave malattia di cuore e lasciarla sola senza cure necessarie e senza il mio aiuto si riscuoterebbe gravemente sul suo stato di salute. Inoltre sono padre di un bambino di 4 anni ed il grave stato di salute di mia moglie non le permette di prestar le cure necessarie per il nostro bambino” [30]. Contemporaneamente dal Ministero dell’Interno partì un provvedimento, diretto a Imperia, che prevedeva l’internamento di Anna ad Avellino [31].

Tra il 1940 e il 1941 1’amministrazione lavorava in senso diametralmente opposto a quello degli internati: controllare, rintracciare, arrestare, separare, internare. Non ci sono istanze, lettere accorate, intermediazioni che reggessero alla prova dei fatti. Solo più tardi, l’alto numero di ebrei e di altri internati spinse il Ministero a svuotare i campi, in realtà per l’arrivo di nuovi prigionieri, e a riempire i comuni, consentendo così anche il ricongiungimento delle famiglie.

Per il momento le domande di Nathan restavano lettera morta e la situazione era destinata a complicarsi. Il 1° agosto intervenne anche il Ministero degli Affari Esteri che inoltrò al Ministero dell’Interno un comunicato dell’Ambasciata di Germania che perorava la causa degli Schmierer, forse perché c’era del sangue ariano da proteggere, quale quello di Anny e del bambino. Situazione alla quale in verità l’Ambasciata non faceva cenno, limitandosi a ricostruire la vicenda personale dei coniugi e spingendo per il loro ricongiungimento in conformità a una domanda dello stesso Nathan che si era detto disponibile ad accettare l’internamento, ma insieme alla moglie e al figlio [32]. Il giorno dopo Nathan si rivolse nuovamente al Ministero modificando l’istanza presentata due settimane prima: “La sua moglie, che è ariana, nel frattempo e contro ogni aspettativa ha chiesto il divorzio e domandato al sottoscritto telegraficamente, che cosa intende a fare con il bambino, dato che è nella sua intenzione di partire. Dato che il sottoscritto è attualmente internato a Montechiarugolo, egli potrebbe assumere le cure per il bambino solo nel caso che il Ministero degli Interni gli consentisse il confinamento assieme al suo figlio. (…). Egli si permette di osservare cortesemente che da parte dell’Ambasciata del Reich per la sua domanda era stato assicurato l’appoggio” [33]. Nathan avvisò anche l’Ambasciata di Germania che contattò nuovamente il Ministero degli Affari Esteri [34]. Come emerge anche in questo caso, la gestione burocratica di un singolo internato coinvolgeva un numero considerevole di istituzioni giungendo a toccare più Ministeri, Prefetture, Questure, Podestà, direttori di campi di concentramento, Ambasciate, istituzioni private. Un groviglio amministrativo che spingeva ogni volta la singola autorità a ricostruire la storia dell’internato che, spogliato di una vera identità, diventava il precipitato di ciò che le autorità vedevano. Che cos’è un uomo? La somma delle informazioni disponibili. Il distillato di parole scambiate in dichiarazioni ufficiali. Paradossalmente questa semplificazione dell’esistenza divenuta categoria, trasformatasi in pratica, in fascicolo, in determinazioni e disposizioni, nascondeva tra le sue pieghe l’inevitabile. La vita così ridotta non si piega del tutto al processo di compressione burocratica e, nel trasmettere le notizie, nel rimbalzare le decisioni, nel riavvolgere ogni volta il nastro di una storia per poterne definire il futuro, proprio gli apparati di repressione raccoglievano e rendevano noti i contorni della negazione dei diritti umani, delle repressioni, dello spietato disegno che delimitava lo spazio tra la vita e la morte. Lo si è visto negli interrogatori degli ebrei fermati dalle autorità italiane, nelle storie raccontate a chi avrebbe deciso di continuare a restringere le loro libertà. Tutti sapevano, almeno nelle alte sfere, ma questa conoscenza non modificava la visione razziale del mondo. La concessione fascista alla disperazione di un fuggitivo era l’internamento. Pericolosità della razza. Non altro.

Così, il 22 agosto 1940, il Ministero dell’Interno scrisse a quello degli Affari Esteri:

(…) è entrato nel Regno dal settembre 1939 asseritamente per motivi turistici ma in effetti per sfuggire ai campi di concentramento istituiti in Germania per gli ebrei. Varie volte invitato ad allontanarsi dal Regno ha sempre rimandato la partenza col pretesto delle precarie condizioni di salute della moglie. Lo Schmierer, all’inizio delle ostilità, data la sua qualità di ebreo straniero, è stato assegnato al Campo di concentramento di Montechiarugolo mentre la moglie è stata internata in un comune della provincia di Avellino. Questo ministero non può aderire alla richiesta di detto straniero tendente a riunirsi alla moglie e al figlio perché in Italia non esistono campi di concentramento per famiglie. Tuttavia, se lo Schmierer e la famiglia desiderano trasferirsi in Germania, questo Ministero non ha nulla in contrario a farli accompagnare alla frontiera per il rimpatrio [35].

Si resta attoniti. La difficoltà non sta nella ricostruzione dei fatti o nella comprensione degli eventi e sappiamo bene quanto sia rischioso usare le lenti dell’oggi e il proprio modo di vedere il mondo. Eppure non si può non sottolineare il tipo di ragionamento utilizzato che proprio nell’oggi trova un’inattesa (?) eco. Il fascismo sapeva bene ciò che stava accadendo agli ebrei d’Europa, sapeva da cosa stavano fuggendo, ma nell’esprimersi sulla qualità di Nathan (va ripetuto: non un essere umano, ma “in qualità di ebreo straniero”) in realtà qualificava se stesso: un potere che opponeva un motivo poco credibile (“in Italia non esistono campi di concentramento per famiglie”), ma che soprattutto affermava che se la misura dell’internamento era giudicata non appropriata alla situazione, l’alternativa era semplice: tornarsene nel proprio paese, ovvero votarsi all’annientamento. Un regime che non contemplava il riconoscimento della diversità e della libertà poteva solamente proporre una scelta al ribasso: l’assoggettamento alle leggi razziali o la possibilità di morire, come accaduto a molti di coloro che furono costretti a lasciare forzatamente l’Italia tra il 1938 e il 1939 e che, tornati nei propri paesi di origine, furono inghiottiti nel vortice della Shoah. Nello stesso tempo, la strategia della burocrazia fascistizzata era anche quella di illudere che il singolo ebreo potesse realmente cambiare la propria sorte, che ognuno potesse contare sulle proprie risorse e che quindi dovesse pensare a se stesso perché forse a qualcuno era permesso ciò che ad altri era negato. E nella nebbia di decisioni contraddittorie anche gli ebrei stranieri riempirono i propri fascicoli di istanze su istanze, perché per il potere era importante mantenere vivo il senso di una speranza che acquietava, che procrastinava, che in un gioco di specchi dilatava lo spazio-tempo delle possibilità. In questa scommessa amministrativa rientravano le concessioni: un trasferimento, un aumento di sussidio, un ricongiungimento, la modificazione di una decisione. Il contesto, però, non cambiava. Non mutavano le leggi razziali, gli arresti, l’isolamento, l’internamento, il controllo, la censura. Mentre gli ebrei internati si aggrappavano a ogni piccolo dettaglio e addirittura non rimpiangevano il proprio status, sorta di sospensione dalle persecuzioni, la macchina fascista costruiva e perfezionava il suo apparato razzista, applicava la teorizzata e normata separazione, impoveriva e indeboliva, umiliava con il lavoro coatto, imbastiva il proprio processo genocidario che non si materializzava semplicemente nella collaborazione fattiva, nella deportazione, nell’uccisione a est, ma che fu preparato da una serie di fasi precedenti. Situati nel cono d’ombra della Shoah, le leggi razziali, gli arresti e l’internamento sembrano svanire nelle ricostruzioni e nelle valutazioni storiche, posti sullo sfondo, sminuiti rispetto al percorso verso la distruzione. Nella loro rimozione, però, si perde anche l’ampiezza e la profondità della stessa Shoah che ha le proprie radici nelle misure restrittive dei mesi o degli anni precedenti senza le quali il genocidio non troverebbe una spiegazione completa né avrebbe potuto essere messo in atto.

Non cambiarono, quindi, le disposizioni nei confronti degli internati. Piccole modificazioni, semplici accoglimenti di istanze (bisognerebbe dire: inevitabili e dovuti, date le circostanze) spiazzavano e illudevano. Così, pochi giorni dopo quella comunicazione tra Ministeri, si dispose l’internamento di Nathan con suo figlio in un comune della provincia di Campobasso [36]. Il 14 settembre entrarono nel perimetro di Sepino, in quello che il prefetto di Campobasso, Giuseppe Cocuzza, chiamò “internamento isolato” [37]. Di sicuro la situazione personale di Schmierer sembra avere un grado di fragilità maggiore. A questo punto la Germania non reclamava il mischling Giuseppe, né si occupava particolarmente dell’ariana Anny. Non una dimenticanza. Già il 28 dicembre 1938 fu introdotta, infatti, una differenziazione tra matrimoni misti privilegiati e matrimoni misti semplici [38]. L’appartenenza a una o all’altra categoria dipendeva da quale dei due coniugi fosse considerato ariano. Nel primo caso lo era il marito e quei matrimoni potevano avere un limitato trattamento di favore. La situazione di Anny comportava, invece, conseguenze peggiorative che potevano arrivare all’espulsione dalla propria abitazione e all’obbligo di risiedere nelle Case degli ebrei (Judenhaeuser) [39]. Inoltre, dal 1941, Giuseppe, in quanto figlio misto di una famiglia non privilegiata, avrebbe dovuto portare il distintivo con la stella, così come Nathan, mentre per Anny si sarebbero spalancate le porte di un qualche lavoro coatto.

Il fatto di evitare le disposizioni tedesche, maturate poco prima della partenza degli Schmierer per la Svizzera e per l’Italia, non comportò certo un rasserenamento emotivo visti i problemi esposti e quelli che seguirono. L’11 gennaio 1941 Nathan chiese di raggiungere urgentemente Sanremo per poter star vicino al bambino gravemente malato [40] che quindi, nonostante la decisione ministeriale di fine agosto, era rimasto con la madre. D’altronde la mancanza di documenti tra settembre 1940 e gennaio 1941 non permette di ricostruire quanto accaduto nel frattempo. Il giorno dopo, il prefetto di Imperia, appurato lo stato di salute di Giuseppe, concesse il nulla osta per una breve licenza. Il Ministero quantificò il permesso in dieci giorni [41]. Da Sanremo, Nathan si rivolse alla Questura di Imperia per una proroga della licenza, allegando “a verità di quanto sopra esposto” [42] due certificati medici a firma del dott. Giuseppe Mussa che all’epoca operava a Villa Helios. Anny, malata, “non può assistere il bambino (…), abbisognando lei stessa di cure e di assistenza”. Ottenuto il nuovo permesso di venti giorni [43], Nathan si prodigò per la sua famiglia, ma a fine febbraio scrisse nuovamente al Ministero: “In seguito alle mie energiche e immediate cure il bambino era già fuori pericolo. Però cambio di abitazione il 7 corrente mese egli ebbe una nuova grave ricaduta (…). Inoltre il bimbo per ordine medico (…) ha urgente necessità di subire l’operazione (…), appena si sarà ristabilito. A questo punto devo portare a conoscenza dell’on. Ministero degli Interni, che il bimbo fin dalla tenera età soffre di asma ed ognuno dei medici che lo hanno visitato a tale riguardo mi hanno sempre suggerito di tenerlo in un clima mite marino, perché ne tragga qualche miglioramento”. Allegando l’ennesimo certificato medico, chiese di rimanere a Sanremo il tempo necessario alla guarigione e alla successiva operazione e, per il futuro, nel caso non fosse possibile rimanere a Sanremo, “pregherei concedermi di trasferirmi a Firenze o in altro grosso centro, ove vi siano i mezzi necessari offerti dalla medicina di curare ed alleviare il mio piccolo dal doloroso disturbo d’asma” [44]. Non indifferenti ai problemi di salute, ma sempre diffidenti, le autorità predisposero la visita di un medico provinciale che, accertato lo stato di salute, fece notare come il bambino “non sia in grado di sopportare il clima rigido di Campobasso”, consigliando “la permanenza nel clima marino di Sanremo per un periodo non inferiore a 90 giorni, salvo poi trasferirlo in climi marini” [45]. Il 2 marzo, essendo scaduto il periodo di licenza, il prefetto di Imperia scrisse al Ministero per riassumere quanto accaduto e per chiedere quali provvedimenti adottare, fermo restando il suo parere favorevole a un ulteriore permesso di un mese e ad un successivo trasferimento. Il prefetto accennava anche a quanto affermato in precedenza dallo stesso Nathan, ossia che era stato abbandonato dalla moglie [46].

In soccorso di Nathan arrivarono due missive: una dalla Nunziatura Apostolica d’Italia nella veste di Ambrogio Marchiori, l’altra dalla Croce Rossa. Il segretario della Nunziatura si rivolse al “Commendatore”, probabilmente Pennetta della Direzione Generale di Pubblica Sicurezza. Richiamando la stessa istanza presentata da Nathan al Ministero due settimane prima, lo affidava “al vostro buon cuore e sono sicuro che farete il possibile per venirmi incontro” [47]. La Croce Rossa, invece, scelse di scrivere all’Ispettore generale Carlo Rosati presentandogli un promemoria sul bambino Josef Schmierer:

Nell’agosto 1940 è stato segnalato da un’Associazione Assistenziale in Svizzera a quest’Ufficio il caso del bambino (…) il cui padre (…) (… protestante, non-ariano) si trovava internato a Sepino, Campobasso. La madre, Anny Schmierer (nata nel 1914 a Kremsmunster, ariana) si trovava, col bambino, a San Remo, senza mezzi per provvedere alle cure richieste per il bambino gracilissimo, di anni 4. Il padre chiedeva che gli fosse concesso di far venire il bambino presso di sé a Sepino. Dalla nostra delegata a San Remo abbiamo saputo che quel che ci era stato riferito in riguardo alla salute del bambino ed alla scarsità di mezzi della madre, corrispondeva a verità. Inoltre la madre, di poca salute anche lei, non si occupava del bambino e lo aveva affidato a delle suore (Istituto Giovanna d’Arco, corso XII marzo Sanremo) le quali però chiedevano una retta eccessiva (L. 400 mensili) che la madre non poteva più corrispondere. Nel corso dell’inverno il bambino si ammalò gravemente di polmonite, fu mandato via dall’Istituto Giovanna d’Arco e fu salvato soltanto dalle cure del padre, il quale riuscì ad ottenere una licenza da Sepino (…). il bambino è affezionatissimo al padre ed ha assolutamente bisogno delle sue cure, mentre la madre non se ne occupa affatto. (…) il padre ha ricevuto una proroga (…), ma ora malgrado una supplica inviata al Ministero dell’Interno in data 24.2.1941 ha ricevuto dalla Questura di Imperia l’ordine definitivo di ripartire per Sepino. Il bambino (…) è nuovamente malato (…) e non è in grado di viaggiare (…). Si chiederebbe: 1) che venisse concesso allo Schmierer (…) di trasferirsi da Sepino a Firenze o in qualche altra grande città con clima mite (…). 2) Un piccolo sussidio per la cura del bambino. La Nunziatura Apostolica ha già elargito una piccola somma a questo scopo, ma questa non potrà ripetersi. Quest’Ufficio appoggia caldamente queste due richieste, trattandosi di un caso veramente pietoso [48].

In realtà la lettera arrivò dopo che il prefetto si era già attivato per la proroga della licenza, cosa poi disposta dal Ministero il 14 marzo, lo stesso giorno in cui si premurò di scrivere al Nunzio Apostolico, monsignor Francesco Borgongini Duca per avvisarlo che aveva predisposto quanto richiesto [49], anche se la decisione, considerata la posizione del prefetto di Imperia, sarebbe stata presa in ogni caso. Poco dopo, i meandri del Ministero elaborarono una richiesta al prefetto Dompieri. Volevano sapere se ci sono “parenti o amici dello Schmierer cui eventualmente possa essere affidato il figlio” [50]. In pratica non riuscivano a concepire che Nathan dovesse accudire suo figlio e non potesse tornare a scontare una pena immaginata in un comune del Molise. Il 6 aprile Dompieri rese noto che Nathan era ancora a Sanremo in attesa di sapere se poteva essere internato con il figlio in una località dal clima adatto alla salute del figlio e chiese per lui una nuova “congrua proroga” [51]. È in questa situazione che nacque la richiesta alla “presidentessa della Croce Rossa Italiana” [52] S. A. R. Principessa di Piemonte [53] che poi si attivò, come visto, presso l’Ispettore Rosati. Nathan aveva anche interessato la marchesa Iris Urigo, sempre della Croce Rossa. S. A. R., attraverso il Gentiluomo di Corte di Servizio, Conte Cesare Spalletti Trivelli, si rivolse al Capo della Polizia – Ministero dell’Interno, “per i possibili benevoli provvedimenti” [54]. Quattro giorni dopo, il 22 aprile, il Ministero scrisse sia al prefetto di Imperia sia al Quirinale. Al primo comunicò il trasferimento da Sepino a Sanremo, trasmettendogli l’istanza di S. A. R. e chiedendo un parere sulla revoca del provvedimento. Alla Principessa di Piemonte furono comunicate semplicemente le decisioni prese [55]. Nel predisporre l’internamento, però, le autorità avevano omesso la solita informazione sulle condizioni economiche degli internati e sulla conseguente emissione del sussidio. Infatti, il 20 maggio, Nathan, ufficialmente a Sanremo dal 4, si trovò a pregare la Questura di Imperia per ottenere il previsto sussidio per sé e per suo figlio [56]. Tale richiesta fu inoltrata dal prefetto al Ministero l’8 giugno, evidenziando che Nathan aveva ricevuto fino ai primi di maggio 400 £ da parenti e amici residenti all’estero, ma che da quel momento ogni aiuto si era fermato. Il Ministero negò l’assegnazione del sussidio “perché il predetto è stato autorizzato a stare a proprie spese a Sanremo ove risiedeva prima dell’internamento” [57], quasi a dire che aveva già ottenuto di non tornare a Sepino e di rimanere a Sanremo e quindi ora avrebbe dovuto vivere come se non fosse un internato, cosa che invece era, come affermato dallo stesso Ministero a Dompieri il 22 aprile [58]. Al di là del sussidio, c’era qualcos’altro che si stava muovendo. Il Ministero, che spesso si affidava ai prefetti anche per decisioni importanti relative agli internati, aveva deciso di seguire la linea di Dompieri che il 27 maggio aveva toccato la questione della revoca del provvedimento su cui era in precedenza stato sollecitato. Ovviamente il Ministero aveva tutti gli strumenti per decidere in autonomia rispetto alla richiesta di S. A. R., ma probabilmente anche per utilizzare l’alibi di difficoltà territoriali, si rivolgeva ai prefetti. Lo si è visto nel caso dei Kienwald alle prese con le Prefetture di Milano e Verona. Dompieri si oppose fermamente alla revoca dell’internamento “data la razza cui esso appartiene”. Anzi suggerisce che “ai sensi delle disposizioni impartite da codesto Ministero col foglio n. 443/66909 dell’8 corrente, egli dovrebbe essere avviato in altro comune non militarmente importante di questa provincia; poiché, però, com’è noto, tutti i comuni della provincia sono compresi nell’elenco allegato alla circolare ministeriale sopracitata, si rimane in attesa di conoscere la località ove egli debba essere avviato, tenuto presenti le condizioni di salute del figliolo che ha necessità di soggiornare in clima mite” [59]. Una strategia non dissimile, di fedeltà alla normativa razziale e di utilizzo delle decisioni ministeriali per allontanare gli internati dal proprio “giardino”, a quello utilizzato dal prefetto di Padova.

Il 5 giugno il Ministero, semplicemente, prese atto della comunicazione di Dompieri ed invitò Schmierer “a scegliersi altra località non militarmente importante” dove sarebbe stato trasferito come internato a proprie spese [60]. Un nuovo vuoto documentario conduce al febbraio 1942, quando il Ministero sollecitò al prefetto di Imperia una risposta sulle comunicazioni del giugno precedente, e al 9 marzo, quando Luigi Passerini, il nuovo prefetto di Imperia, informò che il 21 giugno 1941 Nathan era stato munito del foglio di via obbligatorio per Padova, “località da lui scelta e non militarmente importante” [61]. Probabilmente il cambio al vertice della Prefettura, avvenuto il 7 giugno 1941, aveva rallentato o fermato lo scambio di documenti tra la Prefettura e il Ministero che comunque era rimasto per un lungo periodo senza conoscere gli sviluppi della pratica. Padova emerge alla fine di questa storia per la prima e ultima volta, poiché null’altro è possibile ricostruire della storia di Nathan Schmierer e di suo figlio Giuseppe, né tantomeno di Anny.

Bisogna allora rivolgersi altrove. Tra i milioni di documenti conservati dagli Arolsen Archives, è presente anche la scheda di Nathan Schmierer [62]. Si tratta di un riferimento fondamentale perché getta una luce nuova sulle vicende degli Schmierer e fornisce informazioni anche sul periodo precedente all’arrivo in Italia. Al momento della presentazione del suo caso all’IGCR [63], nel 1946, Nathan era domiciliato presso Greppi, in via Calatafini 4 a Padova [64]. Sopravvissuto, quindi, ai rastrellamenti del 1943-1944, era ancora a Padova dopo la guerra. Qual era stata la sua scelta dopo l’8 settembre? Come si era messo in salvo con un figlio di 7 anni? Dai pochi dati a disposizione si comprende che scelse la clandestinità in collina, fino all’arrivo degli Alleati. Si suppone che Nathan intendesse le colline del padovano, ossia non lontano dalla zona d’internamento, considerato che, subito dopo la liberazione, era appunto a Padova. Infatti, aveva con sé una carta di soggiorno del 13 maggio 1945 rilasciata dalla Questura di Padova e una carta di riconoscimento della Prefettura, datata 21 giugno 1945.

Inoltre, il 2 maggio 1946, Nathan si rivolse alla sede di Venezia dell’UNRRA. Dalle informazioni rilasciate si possono ricavare scorci e momenti della vita di Nathan in Austria. Si tratta di dati riguardanti le competenze lavorative utili per cercare un’occupazione dopo la guerra, attraverso l’aiuto dell’UNRRA. Siccome Nathan non voleva tornare in patria, l’UNRRA aveva bisogno di conoscere quali lavori potesse svolgere per poterlo ricollocare. Si scopre, quindi, che dopo il Ginnasio e l’Accademia di Belle Arti, era diventato un attore drammatico in lingua tedesca, ma era anche un “bravissimo autista”. Non solo. Tra le sue esperienze compaiono quelle di impiegato nell’amministrazione di una fabbrica farmaceutica (per 8 anni sia in Austria sia in Italia), di muratore in uno stabilimento a Berlino (per 1 anno) e di allenatore di calcio e di atletica leggera in Austria (per 10 anni). La sua conoscenza del tedesco, del polacco, dell’italiano, del ceco e, in misura minore, del francese, poteva fornirgli sicuramente più possibilità. Nella sezione “lavoro desiderato” insisteva, però, sulle sue due passioni: l’allenatore di calcio e l’attore. Nel primo caso indicava le sue esperienze come giocatore del “famoso club” Austria e del Rapid Vienna e come allenatore del Wacker Monaco. Le sue competenze attoriali erano state, invece, esercitate presso lo Stadttheater di Stoccarda, per un anno, e al Rosetheater di Berlino [65]. Le sue esperienze e la sua vita furono sconvolte dall’annessione dell’Austria alla Germania. Nel 1938 fu arrestato dai nazisti e, dopo tre mesi di prigione, fu espulso dall’Austria. La successiva ricostruzione rispecchia quanto emerge dai documenti conservati a Roma: entrato in Jugoslavia nell’agosto del 1938, a dicembre passò in Svizzera da dove fu ancora una volta espulso nell’agosto del 1939. Le tappe successive sono state già ricostruite, a partire dal suo doloroso viaggio nel sistema concentrazionario italiano.

Alla fine della guerra rimaneva, dunque, in attesa. All’UNRRA aveva espresso il desiderio di trasferirsi in Brasile, pur non avendo né i soldi per pagarsi il viaggio né i documenti appropriati.

 

NOTE

[1] ACS, MI DGPS DAGR, A4 bis, b. 321, fascicolo “Schmierer Nathan di Schaje”, 5 settembre 1939, Prefettura di Mantova al Ministero dell’Interno.

[2] Sul timbro “J” si veda il Dizionario Storico della Svizzera: https://hls-dhs-dss.ch/it/articles/049159/2015-03-10/.

[3] ACEPD, b. 26 “Aiuti ai viandanti 1933-1940”, fascicolo “Assistenza agli ebrei di Germania ebrei stranieri Anno 1936-38-39-40”.

[4] Gentile, Le leggi razziali, cit., p. 256.

[5] Figlio di Leopoldo e Felicia Weil, nacque a Francoforte sul Meno il 18 gennaio 1911.

[6] ACS, cit., fascicolo “Schmierer Nathan di Schaje”. I documenti relativi a Giuseppe Oppenheimer sono presenti nel fascicolo di Schmierer.

[7] Si veda https://www.geni.com/people/Josef-Oppenheimer/5327973387050046515.

[8] Ivi, n. 1419, p. 256.

[9] ACS, f. Schmierer N., cit., 12 settembre 1939.

[10] Bohmes Egon Israel, in realtà Bohmer come risulta sul documento del 5.9.1939 e che potrebbe essere lo stesso che fu deportato da Vienna a Terezin il 9.10.1942 e che risulta ucciso ad Auschwitz nel 1944; Heller Iosef Israel che fu portato il 26.10.1939 da Vienna a Nisko in Polonia e che risulta ucciso; Maier Max Israel; Pick Siegfried Israel;  Putzlmeier Richard, indicato come Pretzlmeier nel documento del 5.9.1939 e che potrebbe essere lo stesso ucciso ad Hartheim; Schussel Else; Schussel Otto; Stern Iosef Israel.

[11] ACS, f. Schmierer N., cit., 2 ottobre 1939.

[12] Ivi, 5 ottobre 1939.

[13] Ivi, 30 ottobre 1939.

[14] Ivi, 18 novembre 1939.

[15] Ivi, 22 novembre 1939.

[16] Ivi, 23 dicembre 1939. Il certificato medico, datato 27 dicembre e firmato dal dott. Antonio Ermiglia, così come l’istanza di Nathan e Anny del 2 gennaio 1940, rivolti entrambe al Ministero, sono successivi alla comunicazione di Dompieri al Prefetto di Genova, ma evidentemente era già stato informato.

[17] Ivi, 15 febbraio 1940.

[18] Ivi, 18 gennaio 1940.

[19] Ivi, 15 febbraio 1940.

[20] Ivi, 2 gennaio 1940.

[21] Ivi, 18 gennaio 1940.

[22] Ivi, 15 febbraio 1940.

[23] Ivi, 22 febbraio 1940.

[24] Ivi, 24 maggio 1940.

[25] Ivi, 6 giugno 1940.

[26] Ivi, 18 giugno 1940.

[27] Ivi, 22 giugno 1940.

[28] Ivi, 6 luglio 1940.

[29] Ivi, 19 luglio 1940.

[30] Ivi, 15 luglio 1940; trasmessa il 22 luglio con una comunicazione del prefetto Sacchetti al Ministero.

[31] Ivi, 17 luglio 1940.

[32] Ivi, 1° agosto 1940.

[33] Ivi, 2 agosto 1940.

[34] Ivi, 16 agosto 1940.

[35] Ivi, 22 agosto 1940.

[36] Ivi, 27 agosto 1940.

[37] Ivi, 18 settembre 1940.

[38] Si veda la spiegazione della differenza tra matrimoni misti privilegiati e matrimoni misti semplici presente su https://de.wikipedia.org/wiki/Mischehe_(Nationalsozialismus)#%E2%80%9EPrivilegierte%E2%80%9C_und_%E2%80%9Enichtprivilegierte_Mischehe%E2%80%9C.

[39] Fu emanata una direttiva in tal senso quello stesso 28 dicembre 1939.

[40] ACS, f. Schmierer N., cit., 11 gennaio 1941.

[41] Ivi, 14 gennaio 1941.

[42] Ivi, 21 gennaio 1941.

[43] Ivi, 29 gennaio e 11 febbraio 1941.

[44] Ivi, 25 febbraio 1941 e relativo allegato.

[45] Ivi, 26 febbraio 1941.

[46] Ivi, 2 marzo 1941.

[47] Ivi, 10 marzo 1941.

[48] Ivi, 3 maggio 1941 (data del timbro apposto sulla lettera).

[49] Ivi, due documenti del 14 marzo 1941.

[50] Ivi, 25 marzo 1941.

[51] Ivi, 6 aprile 1941.

[52] In realtà Ispettrice Nazionale delle Infermiere della C. R. I.

[53] ACS, f. Schmierer N., cit., 12 aprile 1941.

[54] Ivi, 18 aprile 1941.

[55] Ivi, due documenti del 22 aprile 1941.

[56] Ivi, 20 maggio 1941.

[57] Ivi, 21 giugno 1941.

[58] Il Ministero scrisse a Dompieri: “Lo straniero in oggetto è trasferito, come internato da Sepino a Sanremo”; alla Principessa: “trasferimento del suddito tedesco”.

[59] Ivi, 27 maggio 1941.

[60] Ivi, 5 giugno 1941.

[61] Ivi, 9 marzo 1942.

[62] I documenti si trovano nella sezione 3. Registrations and Files of Displaced Persons, Children and Missing Persons – Relief Programs of Various Organizations – IRO “Care and Maintenance” Program – CM/1 Files originating in Italy – CM/1 files from Italy A-Z – Schmierer Nathan: https://collections.arolsen-archives.org/en/archive/80504260/?p=1&s=schmierer%20nathan&doc_id=80504262.

[63] Fino al 1947 si chiamava Intergovernmental Committee on Refugees, IGCR or ICR. Si tratta di un’agenzia, creata nel 1938 su iniziativa di Franklin D. Roosevelt, a seguito della Conferenza di Evian. Avrebbe dovuto occuparsi del re-insediamento dei rifugiati in fuga dalla Germania nazista e per preparare quello degli ulteriori emigranti. Nel 1943 il suo raggio d’azione fu ampliato, anche sulla spinta della Conferenza delle Bermuda, affinché si occupasse di tutti i rifugiati europei. L’IGCR cessò di operare nel 1947 quando fu sostituito dall’International Refugee Organization (IRO), un’agenzia speciale delle Nazioni Unite.

[64] Lì rimase almeno fino al 20 marzo 1947 come risulta da una scheda dell’UNRRA.

[65] Dichiarò di essere stato caratterista nel Mephisto, nel Riccardo III e nel Re Amleto.

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