Gli internati

GLI INTERNATI

 

Per gli approfondimenti sui singoli ebrei deportati, si veda la pagina dedicata.

 

 

Appena giunti alla Colonia, gli internati furono visitati dal dott. Alessandro Magaraggia che, in data 25 dicembre 1943, approntò la “posta ammalati bisognosi di supplementi”. La situazione apparve subito non facile, dato che la maggior parte degli arrestati era rappresentata da anziani e bambini che presentavano quadri medici molto variegati e delicati. Il medico chiese espressamente dei supplementi alimentari (burro, riso, latte e zucchero), tenuto conto dello stato di salute di ciascuno di loro [1]. Val la pena di ricordare che a Tonezza il cavaliere dottor Magaraggia, oltre al suo ruolo di medico e alla gestione della farmacia in via Chiesa, ha rivestito anche quello di segretario politico del PNF e di commissario straordinario dell’Opera nazionale Balilla.

Il documento del Natale 1943 è una delle due fonti esistenti, insieme all’elenco degli ebrei di Tonezza deportati ad Auschwitz, che può  confermare i nomi di alcuni degli ebrei internati. In questo caso i nomi sono quelli di Giannina Benvenisti, Ludovico Braum, Renata Geltner, Walter Dannenbaum (ripetuto due volte), Jakob Schatz, Menasse Stabholz, Bernardo Cszopp, Enrica Rubinfeld, Marina Eskenasi, Rita Baruch. Il documento riporta anche i nomi di due donne, Editta ed Elena Lindner, che allo stato attuale della ricerca, non risultano né tra gli ebrei stranieri internati in Italia né nell’elenco dei deportati. 

 

 

 

Nel corso della consultazione di documenti provenienti da diversi archivi e di alcune pubblicazioni, sono emersi dati discordanti circa il numero degli ebrei concentrati a Tonezza.

All’Archivio di Stato di Roma, la lista dei deportati dalla provincia di Vicenza, datata  5 febbraio 1944, presenta due voci distinte che riportano in tutto 43 nomi:

  • l’Elenco degli ebrei già concentrati nella Colonia Umberto I di Tonezza e prelevati dai militari germanici  il giorno 30/01/1944 XXII° con 35 nomi (lista 1);
  • l’Elenco di ebrei prelevati dal teatro Olimpico di Vicenza che presenta 8 nomi (lista 2) [2].

Un documento simile, datato però 16 marzo 1956 e inviato dal questore di Vicenza Miccolis al Ministero dell’Interno, riporta gli stessi 43 nomi, ribattuti con alcune differenze, ma con l’indicazione del teatro Eretenio al posto dell’Olimpico. 

Ci sono altri documenti che fanno riferimento al numero degli ebrei arrestati e internati a Tonezza:

  • La “relazione settimanale sulla situazione politica ed economica della provincia” di Vicenza, preparata dalla Questura il 29.12.1943, cita 44 “elementi di razza ebraica”, di cui 4 italiani e 40 stranieri [3].
  • I documenti dell’Archivio Comunale di Tonezza attestano la presenza di 45 ebrei nella colonia [4].
  • La citata lettera del dott. Roselli al capo della Polizia (07.01.1944) parla di 44 internati.
  • Il Libro della Memoria fa riferimento a 40 nomi [5].

Nel tentativo di mettere ordine tra queste fonti, è necessario partire elencando i nomi degli ebrei che emergono da diverse fonti:

  • l’elenco già citato dell’Archivio di Stato di Roma [6];
  • i documenti che attestano la consegna degli ebrei ai tedeschi (fascicoli personali degli ebrei dell’Archivio di Stato di Vicenza) [7];
  • il libro della Memoria [8];
  • il database dello Yad Vashem [9];
  • il database DÖW (elenco delle vittime austriache dell’Olocausto) [10].

 

Tabella con l’elenco degli ebrei presenti a Tonezza del Cimone

 

Sugli ultimi due nomi presenti in tabella, Editta e Elena Lindner, è necessario sospendere il giudizio dato che, ad eccezione della citazione riportata nel documento del medico del campo di Tonezza, non ci sono altre fonti che ne attestino l’internamento e la deportazione.

Un’altra storia che merita un’attenzione particolare è quella di Ettore Graziani, ebreo italiano, nato a Vittorio Veneto (TV) il 20 ottobre 1876, ma residente a Schio. Coniugato con figli lavorava come capo dell’ufficio telefoni di Schio, la T.E.L.V.E.. La politica razziale del governo di Mussolini comportò il suo licenziamento e per questo dovette dedicarsi a piccoli lavori di elettricista.  Conosciuto dalle autorità fasciste della zona, nel dicembre del 1943 fu arrestato dai carabinieri e condotto provvisoriamente nel campo di concentramento di Tonezza. L’internamento durò poco a causa delle sue precarie condizioni di salute. Fu così trasferito all’Ospedale Baratto di Schio. Passò del tempo e la permanenza in ospedale si trasformò in occasione per nascondersi ed evitare ulteriori arresti. In realtà, il sig. Graziani non si finse ammalato, come molti altri ebrei nascosti nell’Ospedale, ma continuò il suo lavoro. Una delazione, sicuramente in cambio di una taglia, portò Ettore Graziani all’arresto nel gennaio del 1945. Venne condotto inizialmente in carcere a Schio e poi in quello di Vicenza, dove la figlia Myriam lo vide per l’ultima volta. Due pubblicazioni permettono di ricostruire il destino di Graziani. Sia la ricerca di Dario Venegoni confluita nel libro Uomini, donne e bambini nel lager di Bolzano. Una tragedia italiana in 7982 storie individuali, sia il Libro della Memoria di Liliana Picciotto confermano la presenza di Graziani nel campo di Bolzano, immatricolato col numero 0 e assegnato al blocco K. Lì trovò la morte il 16 aprile del 1945 [11].

Dati generali

A conclusione, è possibile affermare che gli internati furono 45 (compreso Ettore Graziani ed escluse le due Lindner). Al momento della consegna degli ebrei alle SS, il gruppo contava 43 persone visto che Graziani non erano più presente nel campo così come Dannenbaum. Altra notazione importante riguarda la famiglia Landmann che fu rilasciata in quanto formata da Moses Landmann, ebreo, dalla moglie Barabara, ariana, e dal figlio Walter, ebreo. Si trattava quindi di una famiglia mista. Alla fine, quindi, furono 40 i deportati ad Auschwitz che non fecero più ritorno. Di alcuni sono giunte poche informazioni. Si tratta in particolare dell’ebreo polacco Bernardo Czopp (altrove Cszopp) e dell’architetto ceco Kurt Buchsbaum, non internati tra il 1941 e il 1943, e dei coniugi Guido Orvieto e Angelina Caivano, toscani di origine, residenti a Vicenza e imprigionati nel teatro Eretenio. Da segnalare che Buchsbaum e i coniugi Orvieto risultano in un documento del luglio del 1942 riguardante gli ebrei precettati al lavoro. [12]

Nel complesso, quindi, risultano essere 40 gli ebrei già internati tra il 1941 e il 1943 e poi arrestati in provincia di Vicenza (compreso i Landmann ed esclusi Graziani, Buchsbaum, Czopp, Orvieto e Caivano), su un totale di 615 internati nei comuni (il 7%). Se guardiamo ai comuni di internamento, si ottengono i seguenti dati relativi alla presenza nel campo di Tonezza prima della deportazione ad Auschwitz: 

  • a Barbarano risultano deportati 4 ebrei su 4, il 100%
  • ad Albettone 9 su 11 (quasi l’82 %)
  • a Sossano 10 su 20 (50%)
  • ad Arsiero 9 su 30 (il 30%)
  • a Noventa 1 su 15 (6,6%)
  • a Lusiana 1 su 24 (4,16%)
  • a Malo 2 su 49 (4%)
  • a Montecchio (Walter Dannenbaum: arrestato, ma non deportato) 1 su 27 (3,7%)
  • a Lonigo 2 su 61 (3,27%)
  • a Canove di Roana 1 su 52 (1,92%).

Sarebbe necessario capire con esattezza quali furono le singole scelte delle autorità competenti nei suddetti comuni, subito dopo la dichiarazione dell’armistizio, nonché le situazioni in cui si trovarono gli ebrei lì internati e poi arrestati con modalità e tempi diversi, per poter esprimere un giudizio sui motivi che hanno determinato una maggiore percentuale di fermi in alcuni comuni piuttosto che in altri.

Altro aspetto da prendere in considerazione è l’analisi della composizione delle famiglie, dell’età degli arrestati e delle loro condizioni di vita, con particolare attenzione agli aspetti legati alla salute. Ciò potrebbe aiutare a comprendere perché siano caduti nella rete degli arresti proprio quei 43 ebrei. In alcuni casi troviamo dei nuclei familiari con figli (6 casi per un totale di 21 persone delle quali 7 sono figli minorenni), delle coppie di coniugi (5 casi per un totale di 9 persone tra i 57 e i 74 anni e una di 42) o fratelli e sorelle (1 caso – 3 persone), per un totale di 34 persone. Per i restanti ebrei arrestati (9 persone) si tratta di uomini soli (5 nati tra il 1871 e il 1879, 1 nel decennio successivo, 1 negli anni ‘90 e 2 nel 1905). Come dimostra il certificato medico del Natale del 1943, 11 persone su 43 necessitavano di cure appropriate: diabete, anemia, infiammazioni renali le malattie più diffuse. Si pensi solo al caso di Liudevit Braum che, internato a Noventa dalla fine di novembre del 1941, dopo l’armistizio tentò la fuga, ma senza successo. Liudevit, già malato di diabete, venne fermato a Montagnana e lì ricoverato presso il locale ospedale. Il Questore di Vicenza, il 29 dicembre 1943, scrisse a quello di Padova, precisando che “dovrà essere fatto accompagnare, se in grado lasciare ospedale, at Tonezza di questa Provincia ove è stato istituito campo concentramento”. [13]

La presenza nel teatro vicentino (per aggiornamenti sull’utilizzo del teatro Eretenio, cliccare qui)

La vicenda di Braum apre un altro discorso controverso: l’internamento nel teatro di Vicenza. Come visto, secondo il documento dell’Archivio di Stato di Roma relativo all’elenco degli ebrei deportati dalla provincia di Vicenza, risultano concentrate all’Olimpico (o all’Eretenio secondo l’altro documento) 8 persone: due ebrei italiani, Caivano e Orvieto, e sei stranieri, Braum Liudevit, i coniugi Samuel Mangel e Sabine Schuskind, i coniugi Leo Bloch e Olga Grunhut e la signora Jostowitz Clara.

Questo dato appare incoerente rispetto a quanto riportato nei documenti dell’Archivio comunale di Tonezza che indicano l’internamento nella Colonia Umberto I di tutti e 45 gli ebrei arrestati [14]Inoltre, prendendo in esame la situazione di ciascuno degli 8 ebrei imprigionati nel teatro Olimpico/Eretenio, emergono altre incongruenze.

I due ebrei italiani risultano arrestati il 30 gennaio del 1944 a Padova e Verona e quello stesso giorno portati a Vicenza [15] per essere poi consegnati ai tedeschi. I coniugi Orvieto probabilmente fuggirono tentando di nascondersi, ma senza successo. Il loro arrivo all’Olimpico/Eretenio fu dettato dalla necessità di rastrellare il più alto numero di ebrei per il convoglio del 30 gennaio formato a Milano. È molto probabile che siano stati trattenuti presso il teatro cittadino il tempo strettamente necessario affinché ci fosse il passaggio di consegne.

Per quel che concerne Liudevit Braum, come detto poco fa, i documenti dell’Archivio di Stato di Vicenza riportano il preciso riferimento del Questore di Vicenza al campo di Tonezza. Il giorno dopo il citato telegramma al questore di Padova, quello di Vicenza scrisse al direttore del campo di concentramento di Tonezza affermando che “a mezzo di un agente di p. s. di questo Ufficio faccio costà accompagnare l’ebreo straniero, indicato in oggetto, già internato nel Comune di Noventa Vicentina. Si prega di un cenno di ricevuta”. [16] Sullo stesso documento appare la firma di un appuntato a piedi che attesta l’arrivo del signor Braum con l’indicazione della data del 31.12.1943. A sostegno della presenza di Liudevit a Tonezza vi è anche il documento del medico del campo che chiede per lui dei supplementi alimentari, anche se formalmente è precedente al suo arrivo [17].

Al momento dell’arresto da parte dei carabinieri di Schio, avvenuto la mattina del 13 dicembre del 1943, i coniugi Mangel e Schuskind si trovavano presso l’ospedale di Malo [18].  Con telegramma a mano, il maresciallo comandante la stazione, Benedetto Rausa, avvisò la Questura che i due sarebbero stati accompagnati a Vicenza per le formalità del caso.

Pochissime, invece, sono le informazioni su Leo Bloch e la moglie Olga Grunhut. In questo caso non è possibile esporsi relativamente alla loro presenza a Tonezza o presso il teatro vicentino. Anche la signora Clara Jostowitz, secondo il documento di Roma, sarebbe stata tenuta a Vicenza. Appare singolare, a questo proposito, la separazione dal marito Menasse Stabholz, internato invece nella Colonia Umberto I.

Tenuto conto anche di altri documenti relativi agli arresti degli ebrei di Tonezza, come quelli che riguardano i Lind e i coniugi Kramm, è possibile concludere dicendo che, una volta compiuto l’arresto, le forze dell’ordine condussero gli ebrei alla Questura di Vicenza e da lì, pur se  provvisoriamente, al teatro nell’attesa che fosse pronta la colonia Umberto I. Basti considerare che la quasi totalità degli ebrei fu arrestata tra il 10 e il 20 dicembre, prima quindi che il campo fosse aperto. D’altronde la struttura della colonia era stata scelta perché aveva tutto ciò che occorreva a partire da un adeguato numero di posti, quindi non sarebbe comprensibile la scelta di un secondo luogo di internamento presso il teatro vicentino.

Lo stesso Roselli, sempre nella citata lettera del 7 gennaio del 1944 al capo della Polizia, dopo aver affermato che a Tonezza erano internati 44 ebrei, aggiungeva che “volendo si potrebbero inviare subito anche altre 70 persone, che verrebbero convenientemente sistemate in un altro piano dell’edificio con ingresso a parte, perché vi sono ancora disponibili 70 letti al completo, due per camera, oltre il necessario per la cucina e per la mensa, e che vi sarebbe anche la capienza per altri 100 posti se vi fossero i letti”. [19]

Non solo. I documenti dell’Archivio comunale di Tonezza rimandano anche ad alcuni tratti della vita quotidiana nella Colonia. Al di là di alcuni dati risultanti dall’elenco dei materiali presenti nella colonia al momento dell’apertura del campo di concentramento  e corrispondenti grossomodo al numero degli occupanti (45 ebrei e 5 carabinieri di sorveglianza) [20], l’attenzione va posta su alcuni documenti del 21 gennaio 1944. Si tratta di una comunicazione del podestà di Tonezza all’Ufficio provinciale Distribuzione di Vicenza in cui si rende nota la trasmissione dei moduli C e C1 “relativi al prelevamento di generi razionati diversi per gli ebrei e Carabinieri del Campo concentramento di Tonezza”.  Furono allegati 6 moduli riportanti gli ordinativi di consegna di alimenti per il mese di febbraio del 1944. Su un modulo per la richiesta di farina da pane vengono chieste 50 razioni, 45 per gli ebrei e 5 per i carabinieri, per un totale di 599,140 Kg (413 g. a testa per 29 giorni). Negli altri 5 moduli, invece, il riferimento è sempre ai “Carabinieri addetti alla sorveglianza” per i quali furono richieste 5 porzioni di generi da minestre (pasta e riso per un totale di 22,5 Kg), 5 di zucchero (2,250 Kg), 5 di grassi (olio e grassi suini, per un totale di 2,250 Kg), 5 di formaggio e di sapone. [21]

Oltre alla conferma del numero degli ebrei presenti nel campo (45), il documento permette di capire che al 21 gennaio del 1944 le autorità non avevano ancora certezze riguardo alla permanenza degli internati e al loro destino, dato che si programmava l’arrivo di generi alimentari per tutto il mese di febbraio. Eppure, di lì a poco, il 30 gennaio, gli ebrei vennero consegnati ai tedeschi.

La gestione del campo

Prima di analizzare i momenti convulsi che portarono alla deportazione e alla chiusura del campo di Tonezza, è il caso di soffermarsi brevemente su altri dettagli relativi alla struttura e alla sua gestione.  Nel rendiconto della gestione del campo (apertura il 20 dicembre 1943 e chiusura il 2 gennaio 1944 – il mese con tutta probabilità è errato), il direttore Silvio Toniolo e l’economo Giovanni Rossetto attestano una sola entrata, datata 9 gennaio 1944, ad opera della Prefettura di Vicenza per un ammontare di £. 20.000 e 36 voci in uscita per un totale di £. 17.794,70, con un fondo di cassa di £. 2.205,30. Dai pagamenti delle fatture è possibile fare alcune considerazioni sui 39 giorni effettivi di internamento nella Colonia. In questa sede si è deciso di accorpare le voci di spesa che possono essere ricondotte allo stesso ambito di attività.

 

 

Accanto alle fatture contabilizzate e saldate, l’economo elenca anche le “forniture e le prestazioni non saldate per mancanza di fondi disponibili o perché non ancora pervenute le regolari fatture”. Così come i movimenti di cassa sopra riportati, anche queste ultime sono importanti per capire gli eventi accaduti. Si tratta di 6 prestazioni.

 

 

Provando a sintetizzare i dati esposti, bisogna porre in evidenza la fase dell’arrivo degli ebrei al campo di Tonezza. Una volta arrestati, dopo la breve permanenza nel teatro Olimpico, furono portati ad Arsiero [22] e da lì condotti dal signor Giuseppe Fontana a Tonezza. Le mancate fatture fanno riferimento al trasporto degli ebrei da Barcarola, località del comune di Valdastico, a Tonezza, dato che va a coincidere con la spesa per la colazione dei militi, proprio a Barcarola, presso l’Albergo Trentin e presso Canale Ferdinando.

Ci si potrebbe chiedere se il trasporto sia avvenuto in due tappe, da Arsiero a Barcarola e da quest’ultima località a Tonezza oppure se i documenti si riferiscono a due o più arrivi diversi. In realtà due dati fanno propendere per la prima ipotesi. Uno è legato al fatto che, ad eccezione del signor Braum e dei coniugi Orvieto, gli ebrei erano già stati arrestati alla data del 23 dicembre e quindi il riferimento dovrebbe essere al primo numeroso trasporto. Il secondo dato conduce alla fattura per la colazione dei militi, datata proprio 23 dicembre 1943, lo stesso giorno in cui gli ebrei arrivarono a Tonezza.

Anche per il trasporto sono presenti due dati diversi. Il primo riconduce a Giuseppe Fontana di Tonezza, il secondo alla ditta Autotrasporti dei Fratelli Silla di Posina che, almeno stando alle fatture non emesse, si occupò del trasporto da Barcarola a Tonezza. Si può ipotizzare, come fatto seguendo i movimenti dei carabinieri, un trasporto in due momenti: quello di Fontana da Arsiero a Barcarola e quello della ditta di Posina da Barcarola a Tonezza. Probabilmente il cambio sostanziale del tipo di strada aveva fatto nascere la necessità di affidare il trasporto ad una ditta specializzata. Infatti, la strada che parte da Barcarola, conosciuta anche come Col del Vento, si arrampica per 19 tornanti verso Tonezza. 

Nello stesso periodo, Santo Fontana si occupava del trasporto dei bagagli.

Una volta giunti a Tonezza, i carabinieri (sicuramente 2 sui 5 attestati al campo), alloggiarono all’albergo Alla Posta di Tonezza, di proprietà di Nicola Canale, e anche in questo caso la fattura venne emessa al momento stesso dell’avvenuto utilizzo dell’albergo [23]. Dal rapporto sulla gestione del campo emergono anche due nomi di carabinieri, Valentino Dall’Agnol ed Ervino Testolin, per i quali venne disposto il rimborso delle spese di viaggio (con fattura del 22 dicembre 1943), significando che probabilmente arrivarono prima per conto proprio.

Un ultimo dato va sottolineato. Nel rendiconto non ufficiale scritto a mano dall’economo, appare una voce che poi scompare nel prospetto delle uscite ufficiali. Si tratta delle “Spese trasporto ebrei a Padova”. Non sappiamo se la spesa non sia stata più affrontata o se nel documento originale è stata inserita in altre voci.

A seguito dell’apertura ufficiale del campo, l’amministrazione, nelle mani del Direttore Silvio Toniolo, prese tutte le opportune misure per il funzionamento della Colonia, dalla fornitura di energia a quella di legna, dall’acquisto di cancelleria e stampati a quella della benzina.

Oltre al direttore maggiore Toniolo e all’economo Giovanni Bozzetto lavoravano per la Colonia Umberto I altre persone di Tonezza: il custode Giovanni Dalla Via, la cuoca Bruna Canale e l’aiuto-cuoca Amabile Dalla Via. Il sostentamento e le cure mediche erano assicurate dai regolari rifornimenti di alimenti, forniti da tonezzani, e dall’arrivo dei medicinali necessari reperiti in due farmacie di Vicenza (Cattaneo e Cegan) e in una di Pedescala (Casentini), a maggiore dimostrazione della precarietà della salute di alcuni internati.

Considerando l’insieme dei documenti esaminati, risalta il coinvolgimento di persone di più comuni e di conseguenza il prevedibile scambio di informazioni che dovrebbe aver portato la notizia sull’apertura e sul funzionamento del campo in una fascia abbastanza ampia di popolazione della provincia. Colpisce che la traccia lasciata dal campo di concentramento nella memoria di chi visse allora e di chi vive oggi sia piuttosto impalpabile.

I giorni nella Colonia, pochi ufficialmente, devono essere stati i più lunghi ed estenuanti per gli ebrei sospesi tra la speranza di una notizia o di una decisione che potesse cambiare il loro stato e la certezza che il nuovo corso della Repubblica Sociale, unito alla presenza dei tedeschi sul territorio italiano, non li avrebbe condotti su altra strada che su quella dei campi della Polonia.

Nel frattempo, il capo della Polizia Tamburini, con telegramma inviato il giorno 9 alle 12.45, si rivolse al capo della Provincia di Vicenza riguardo al campo di Tonezza:

Viene riferito che a Tonezza cotesto ufficio ha organizzato campo concentramento per ebrei dove sarebbero disponibili settanta posti letto punto Pregasi telegrafare notizie in merito, indicando se possono essere avviati detto campo ebrei altre Province et in quale numero punto

Il 16 gennaio 1944, Dinale rispose che “presentemente sono disponibili predetto campo settanta posti letto perché non ancora rintracciati ebrei provincia irreperibili punto Nulla osta invio colà ebrei altre province con preghiera disporre acchè sia dato congruo preavviso arrivo at direzione detto campo Tonezza et Questore Vicenza punto”.

Nello stesso lasso di tempo il Ministero degli Interni, come detto, non perdeva occasione per prendere informazioni sulla possibilità di istituire un campo anche ad Enego. Per tutto il mese di gennaio continuarono i contatti con il dott. Roselli e con il capo della Provincia Dinale, fino a quando, a seguito di una richiesta urgente del capo della Polizia Tamburini (appunto personale del 25 gennaio, telegramma partito alle ore 19 del 26) che chiedeva se “Casa del Maestro est usabile per ostaggi grande importanza. Caso positivo approntarla subito”, Dinale rispose alle 20:10 del 27 gennaio che “Casa del maestro non usabile per ostaggi anche ché situata in zona non adatta e che non si presta alla vigilanza” [24].

Le trattative per la consegna degli ebrei alle SS

Mentre la macchina burocratico-amministrativa italiana si affannava nella ricerca della sistemazione degli ebrei da internare nei campi di concentramento e nella Colonia Umberto I di Piani di Tonezza la mancanza assoluta di notizie rendeva insopportabile l’attesa, le autorità tedesche andavano preparando il sesto convoglio di ebrei per Auschwitz [25]. La partenza era prevista per il 30 gennaio 1944. I tempi stretti richiedevano una certa urgenza nell’organizzazione e soprattutto la necessità di raggiungere almeno la quota di 600 persone, dato che al di sotto di quella cifra il trasporto diventava poco economico. I Comandi Avanzati di molte città dell’Italia del Nord pretesero così che fossero svuotati i campi di concentramento provinciali e che tutti gli ebrei fossero messi a disposizione delle autorità germaniche.

La situazione coinvolse presto anche la provincia di Vicenza come già analizzato da Klaus Voigt [26] e come emerge dai documenti dell’Archivio di Stato di Roma.

In realtà la questione era tutt’altro che semplice da risolvere, in quanto le disposizioni italiane e quelle tedesche differivano in più punti, soprattutto per quel che concerne le categorie di ebrei da deportare. In particolare il 10 dicembre, il capo della polizia Tamburini emanò la seguente ordinanza:

In applicazione recenti dispo­sizioni, ebrei stranieri devono essere assegnati tutti at campo di concentramento.Uguale provvedimento deve essere adottato per ebrei puri italiani, esclusi malati gravi et vecchi oltre anni 70. Sono per ora esclusi i misti e le famiglie miste salvo adeguate misure di vigilanza [27].

Per i tedeschi, invece, almeno fino alla metà di febbraio del 1944, l’unica categoria che potesse essere esclusa dai provvedimenti era quella delle famiglie miste, mentre andavano consegnati i malati e gli ultrasettantenni. Secondo queste disposizioni, degli ebrei internati a Tonezza, poteva salvarsi, come infatti fu, solo la famiglia Landmann.

Ai capi delle Province non rimaneva che chiedere istruzioni su come comportarsi. Davanti a queste pressioni il Ministero dell’Interno ritenne giunto il mo­mento di stabilire alcuni criteri fondamentali. Tamburini interpellò Mussolini, che a  sua volta si consultò con Buffarini Guidi. Il 21 gennaio quest’ultimo rese noto che il governo, pur insistendo perché gli ebrei venissero internati nei campi di concentramento­ provinciali, si riservava “di interessare le “autorità centrali germaniche perché in conformità del criterio enunciato, siano date disposizioni adatte perché gli ebrei permangano nei campi italiani”. [28] Questa decisione fu trasmessa ai capi delle province, cui venne ordinato al tempo stesso di “prendere accordi con Autorità locali germaniche, alle quali vengano spiegate le disposizioni impartite per ordine del Duce”. [29]

La provincia di Vicenza venne a trovarsi proprio al crocevia di tali decisioni discordanti che, da un lato, affermavano che gli ebrei sarebbero rimasti nei campi italiani, dall’altro lasciavano all’intermediazione con il Comando Germanico la decisione finale sulla loro deportazione.

Il capo della Provincia, Neos Dinale, decise di inviare il suo capo di Gabinetto a Verona per trattare direttamente con Wolff, il quale finse di non sapere nulla delle decisioni prese.

È lo stesso Dinale a ricostruire le ultime frenetiche ore prima della consegna degli ebrei ai tedeschi. In un rapporto del 30 gennaio 1944, diretto al Ministero dell’Interno e al capo della Polizia, è possibile comprendere come andarono le trattative.

Il capo della Provincia rimase sorpreso da un fonogramma, giunto da Padova il 28 gennaio alle 10.40, in cui si annunciava che “domenica 30 corrente alle ore 11 un sottufficiale della Polizia giungerà a Vicenza per condurre in Germania tutti gli ebrei che sono stati fermati.” Il comunicato aggiungeva anche che “gli ebrei di età superiore ai 50 anni, attualmente liberi, dovranno essere fermati e messi a disposizione per essere condotti in Germania. Prego provvedere il vitto per otto giorni. Seguiranno ulteriori istruzioni e un incaricato si presenterà prima delle ore 11 del giorno 30 corrente al Capo della Provincia.

Il messaggio contrastava evidentemente con quanto fino a quel momento deciso a livello governativo, in particolare sulla consegna delle persone avanti con l’età. È lo stesso Dinale a rendersi conto del conflitto tra le diverse ordinanze:

Poiché tali disposizioni contrastavano con quello comunicato col telegramma 21 gennaio 1944, n. 416, e col successivo in data 22 gennaio 1944, n. 1417/442, entrambi a firma del Capo della Polizia, il 29 mattina ho inviato il mio Capo di Gabinetto a Verona, presso il Comando Militare Germanico (…), per rappresentare al Comandante Col. Wolf le disposizioni comunicate dal Ministero dell’Interno riguardo all’internamento degli ebrei e l’ordine dato tramite la Polizia Germanica di Padova, e fare al tempo stesso, presente che era mio dovere eseguire le disposizioni date d’ordine del Duce dal Ministro dell’Interno e che, comunque, chiedevo conferma scritta dell’ordine trasmesso per telefono dalla Polizia di Padova.

È a questo punto che il comandante delle S.S. Wolf decise di fingere di ignorare qualsiasi ordine dato. Mentre il capo di Gabinetto era alle prese con Wolf, quella stessa mattina Dinale riceveva un sottufficiale delle SS, con un comunicato in tedesco del Comando Germanico, scritto a Verona il 29.01.1944, che conteneva un riferimento ben preciso nell’intestazione al noto Ufficio IV.B.4. La lettera altro non era che l’ordine di consegna degli ebrei fermati per la “traduzione in Germania”:

 Gli ebrei arrestati nell’azione portata a termine in loco sono da trasferire qui, secondo gli accordi del Bds di Verona.

Come si vede, il Comando Germanico stava tentando di prendere tempo davanti alle richieste del capo della Provincia e del suo capo di Gabinetto e di confondere le carte, smentendo gli ordini nel colloquio di Verona e confermandoli, tramite lettera, a Vicenza. Tra le altre cose il sottufficiale precisò che la comunicazione telefonica del 28 era stata fatta da lui in persona da Verona e non da Padova.

Nonostante la confusione generata dalle diverse istruzioni tedesche, a Dinale rimaneva da giocare la mossa più importante: la discrepanza tra le ordinanze italiane e quelle tedesche. In effetti, il capo della Provincia fece presente che “non potevo mettere a disposizione detti ebrei essendo diverse le istruzioni ricevute dalle Superiori Autorità Italiane e che comunque avevo interessato della questione il Comando Militare Germanico di Verona per cui ravvisavo di rinviarne la definizione nel pomeriggio.”

Gli ebrei internati a Tonezza non sapevano e non hanno mai saputo di queste trattative, così come sicuramente, in quelle pochissime ore che li separavano dalla partenza, non immaginavano che sulle loro vite si stesse giocando una partita ai livelli alti delle gerarchie italo-tedesche. Purtroppo il rinvio della questione al pomeriggio del 29 non portò la salvezza o almeno un differimento della condanna a morte.

Dopo che il capo di Gabinetto ebbe riferito del colloquio di Verona con Wolf, Dinale ebbe un incontro anche con il Tenente Colonnello Sewert, ufficiale di collegamento della Polizia Tedesca per il Veneto e il Friuli, sempre per chiarire la questione del telegramma.

Egli però, dopo aver letto la lettera del Comando S.S. recapitata nella mattinata dal Sottufficiale incaricato, alla mia domanda se la richiesta contenuta nella lettera stessa costituiva un ordine, come da dichiarazione del Sottufficiale delle S.S., rispondeva affermativamente. Al che ho fatto presente che non mi restava che dare disposizioni per l’esecuzione dell’ordine ed ho messo a disposizione del Sottufficiale delle S.S. gli automezzi necessari per il trasporto degli ebrei e i vivere richiesti.

La conclusione delle trattative portò al cedimento di Dinale che comportò non solo la consegna degli ebrei di Tonezza, ma anche l’impegno di approntare i mezzi per il trasporto da Tonezza a Vicenza e il vitto necessario per otto giorni. Tale richiesta era ben ponderata da parte dei tedeschi dato che le ore di viaggio dall’Italia per Auschwitz erano circa un centinaio e ogni volta potevano presentarsi condizioni diverse che influivano sulla data di arrivo. I convogli partiti dal territorio sotto il controllo della RSI impiegavano di media quattro o cinque giorni, ma un convoglio, il decimo, ne impiegò sette.

Gli automezzi forniti dal capo della Provincia furono sicuramente i pullman della S.I.T.A. come risulta anche dal rendiconto della gestione della Colonia Umberto I redatto dall’economo Bozzetto. Una volta partiti da Tonezza, gli ebrei furono portati a Vicenza dove furono fatti salire anche gli ebrei concentrati al teatro Eretenio [Olimpico nel documento coevo]. Con il momentaneo rilascio dei Landmann, il gruppo si ridusse a 40 persone. Dalla stazione di Vicenza gli ebrei furono condotti a Verona dove si stava completando il convoglio n° 6 preparato sul binario sotterraneo 21 della stazione Centrale di Milano. Secondo le ricerche del CDEC i deportati furono 605 e i reduci solo 22 [30].  Sul treno-merci erano presenti 36 bambini (nati dopo il 1931) e 158 anziani (nati prima del 1885) [31].

Considerando l’elenco degli ebrei internati a Tonezza, è possibile inserire tra i 36 bambini Rita Baruch e Renèe Geltner (12 anni e mezzo), Erika (12 anni compiuti 5 giorni prima della partenza) ed Edward Rubinfeld (6 anni), Marina Eskenasi (2 anni e mezzo), mentre tra i 158 anziani vanno segnalati Manasse Stabholz (nato nel 1879), Samuel Mangel (del 1869) e la moglie Sabine Susskind (1874), Ivan Zaduk (1871), Jakub Schatz (1875), Bernardo Cszopp (1879), Ivan Oblath (1882), Lipa Lublinski (1885), Ester Schwertfinger (1883), Ljudevit Braum (1879), Leo Bloch (1876) e la moglie Olga Grunhert (1880).

Nessuno dei 40 ebrei partiti il 30 gennaio 1944 e giunti ad Auschwitz il 6 febbraio è sopravvissuto: 12 furono uccisi all’arrivo nel campo polacco, 27 morirono in data e luogo ignoto o comunque successivamente all’arrivo, 1 morì dopo la liberazione del campo.

 

Note

[1] Così come da comunicato del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste del 16 luglio del 1943, oggetto: trattamento alimentare internati civili (rastrellati), in Archivio Centrale dello Stato (ACS), MI, M4, b. 106, f. 16, s. f. 1, ins. 24/7.

[2] ACS, MI, PS, A5G II GM, b. 151, fasc. 230 ebrei, sotto-fascicolo ebrei. Atti pervenuti dalla Segreteria del Capo della Polizia, senza lettera d’accompagnamento.

[3] ACS, MI, PS, DAGR, RSI 1943-1945, b. 8, fasc. Operazioni di polizia nella provincia, Vicenza 1944, Questura di Vicenza, Vicenza, 29 dicembre 1943. Vicenza, Relazione settimanale sulla situazione politica ed economica della provincia.

[4] Archivio Comunale di Tonezza del Cimone (ACTO), Documenti relativi agli ebrei internati nel campo di concentramento Colonia Umberto I, Rendiconto della gestione del campo di concentramento.

[5] Liliana Picciotto, Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945), Mursia, Milano 2002 (2^ ed.).

[6] Vedi nota 1.

[7] Si tratta per lo più di brevi comunicazioni, datate 3 febbraio 1944 e scritte su piccoli fogli (veline) prestampati a cui andava aggiunto solo il nome dell’ebreo consegnato ai tedeschi. Il testo è il seguente: «L’ebreo ______________________in data 30 gennaio 1944 è stato prelevato dalla polizia tedesca». Detti documenti si trovano in ASVI, Questura, (1941-1945) Internati civili ebrei.

[8] Picciotto, Il libro della memoria, cit.

[9] Il database è consultabile sul sito dello Yad Vashem all’indirizzo https://yvng.yadvashem.org/.

[10] Il Döw è il Dokumentationsarchiv des österreichischen Widerstandes di Vienna (Archivio di documentazione della Resistenza austriaca). Ha prodotto un cd-rom con la lista delle vittime austriache della Shoah (die österreichischen Opfer des Holocaust). È anche possibile consultare il sito www.doew.at.

[11] Dario Venegoni, Uomini, donne e bambini nel Lager di Bolzano. Una tragedia italiana in 7.982 storie individuali, Seconda edizione, Fondazione Memoria della Deportazione/Mimesis, Milano 2005. Il testo è consultabile sul sito www.venegoni.it o sul sito www.deportati.it/static/pdf/libri/venegoni_sec.pdf. La pagina di riferimento è la numero 210. In Liliana Picciotto, Il libro della memoria, cit., il riferimento è a pag. 835. La storia di Ettore Graziani è ricostruita nei Quaderni della Resistenza, Schio 11, Gli ebrei a Schio, luglio 1980. I risultati della ricerca della Biblioteca Comunale di Schio erano presenti sul sito www.comune.schio.vi.it/a_225_IT_17866_1.html.

[12] ACS, MI, DGDR (Direzione Generale della Demografia e della Razza), aff. div. (1938-1945), b. 17, f. II 19. Precettazione civile degli ebrei a scopo di lavoro, s. f. 95 Vicenza.

[13] Archivio di Stato di Vicenza (ASVI), Questura 1941-1945, Internati civili ebrei, b. 6, f. 19, fascicolo personale Braum Liudevit.

[14] Archivio comunale di Tonezza del Cimone, Rendiconto della gestione del campo concentramento ebrei Tonezza, cit. Va sottolineato che la richiesta dei supplementi è del 25 dicembre, la qual cosa sembrerebbe in contrasto con l’arrivo di Braum alla Colonia 6 giorni dopo. Va tenuto conto però che la richiesta di supplementi alimentari valeva sia per dicembre sia per gennaio. Probabilmente il medico, conoscendo la situazione di Braum, nel frattempo ricoverato a Montagnana, aveva già tenuto conto della sua situazione per l’ordine degli alimenti.

[15] Picciotto, Libro della memoria, cit, pag. 167 (Caivano Angelina) e pag. 479 (Orvieto Guido Fortunato). In effetti il dato del Libro della memoria riguardante i coniugi Orvieto si scontra con quello della precettazione al lavoro che indica come Provincia di riferimento quella di Vicenza già dal luglio del 1942. Non solo. Per il sig. Orvieto è indicato come luogo di arresto Verona.

[16] Come nota 12.

[17] Un’ulteriore incongruenza è fornita dalla data di richiesta di alimenti da parte del medico (25/12/1943) rispetto all’arrivo di Braum (30/12/1943).

[18] Si veda la pagina della testimonianza sulla pagina https://collections.yadvashem.org/en/names/815615. La testimonianza è dell’11 maggio del 1979 e porta la firma della figlia Marie S. Schlein, residente negli USA.

[19] ACS, MI, M4, b. 111.

[20] Nel documento dell’Archivio Comunale di Tonezza risalente al 23.12.1943 sono presenti 45 voci che riportano tutto il materiale inventariato nella Colonia. Tra le altre cose risultano: 57 materassi di crino, 55 letti di ferro con reti, 50 comodini, 45 catini smaltati, 45 vasi da notte smaltati, 55 brocche per acqua smaltate, 53 scodelle di alluminio, 50 piatti di alluminio, 50 bicchieri di vetro, 55 cucchiai e forchette di ottone.

[21] ACTO, Documenti relativi agli ebrei internati nel campo di concentramento Colonia Umberto I.

[22] Giuseppe Marcazzan, Tonezza mia, cit. La stessa informazione si può ricavare dall’intervista a Walter Landmann raccolta da Marino Smiderle e pubblicata su il Giornale di Vicenza, il 5 febbraio 2004 con il titolo “Mi avete resuscitato dall’olocausto”.

[23] Le altre spese per l’alloggio, come emerge dalla Tabella 1, sempre presso l’Albergo alla Posta, sono state fatturate in data 4 febbraio 1944.

[24] Entrambi i documenti citati si trovano in ACS, MI, PS, A5G II GM, b. 151, f. 230 ebrei, s. f. ebrei, Atti pervenuti dalla Segreteria del Capo della Polizia, senza lettera d’accompagnamento.

[25] Il primo convoglio partì da Merano il 16 settembre del 1943, il secondo da Roma il 18 ottobre, il terzo fu formato a Firenze e Bologna e partì il 9 novembre, il quarto fu formato a Borgo San Dalmazzo il 21 novembre, il quinto a Milano e a Verona il 6 dicembre del 1943. Per maggiori dettagli e per i dati sugli altri convogli si veda Picciotto, Il libro della memoria, cit., pp. 44-65.

[26] Klaus Voigt, Il rifugio precario, vol. II, cit., p. 452-453.

[27] ACS, MI, DGDR (Direzione Generale della Demografia e della Razza), Affari relativi agli ebrei, b. 18. Si veda anche in Picciotto, Il libro della memoria, cit., pag. 897. L’ordinanza fu ripetuta anche il 22 gennaio e il 7 marzo del 1944.

[28] In Voigt, Il rifugio precario, vol. II, cit, p. 453 e nota. Si veda anche ACS, MI, DGDR (Direzione Generale della Demografia e della Razza), Affari relativi agli ebrei, b. 18, comunicazione del 22 gennaio 1944, ore 22, del Capo della Polizia Tamburini ai Capi delle Province: “richiamando precedenti disposizioni informasi che ebrei puri italiani e stranieri devono essere inviati campi di concentramento. Verranno interessate autorità centrali germaniche per direttive intese assicurare permanenza ebrei campi italiani. Provvedimento è per ora sospeso per famiglie miste”.

[29] Ibidem.

[30] In effetti all’elenco de Il libro della memoria mancano alcuni nomi degli ebrei deportati dalla provincia di Vicenza. Sono presenti 40 nomi sui 43 consegnati alle SS il 30 gennaio 1944, compresi però i Landmann che in realtà non furono deportati. Risultano assenti i nomi di Clara Jostowitz, Leo Bloch e la moglie Olga Grunhut. Sulla digital library del CDEC i dati sono stati corretti.

[31] Picciotto, Il libro della memoria, cit., p. 46-47.

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