Parte prima – Le origini del concetto di eutanasia

Aktion T4 – la mostra

Parte prima – Le origini del concetto di eutanasia

 

New York 1932: Terzo congresso mondiale di eugenetica

 

Se sfogliassimo un vocabolario alla ricerca del significato della parola “eutanasia” troveremmo questa definizione:

La morte non dolorosa, ossia il porre deliberatamente termine alla vita di un paziente al fine di evitare, in caso di malattie incurabili, sofferenze prolungate nel tempo o una lunga agonia; può essere ottenuta o con la sospensione del trattamento medico che mantiene artificialmente in vita il paziente (eutanasia passiva), o attraverso la somministrazione di farmaci atti ad affrettare o procurare la morte (eutanasia attiva); si definisce volontaria se richiesta o autorizzata dal paziente

Quando oggi discutiamo di eutanasia parliamo di un “diritto” del paziente, ci riferiamo cioè alla “eutanasia volontaria”. In altri termini privilegiamo la sfera della volontà umana. Nella Germania degli anni tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale si parlava di eutanasia in modo molto differente.

Durante la Prima guerra mondiale si era assistito ad una impressionante impennata dei decessi dei malati cronici negli istituti di cura tedeschi: 45.000 in Prussia e più di 7.000 in Sassonia. Con molta probabilità la scarsità di cibo causata dal conflitto aveva spinto molti medici ad affrettare la morte di una parte di queste cosiddette “bocche inutili”.

Per certi versi si era creato in tal modo un terreno favorevole ad una sorta di “indifferenza” alla morte di individui definiti inguaribili. In questo clima trovò terreno fertile la teorizzazione di una “eutanasia di Stato”. Nel 1920 apparve un libro dal titolo L’autorizzazione all’eliminazione delle vite non più degne di essere vissute. Gli autori erano Alfred Hoche (1865-1943), uno psichiatra, e Karl Binding (1841-1920), un giurista.

Hoche e Binding di fatto svilupparono un concetto di “eutanasia sociale“. Secondo i due il malato incurabile era da considerarsi non soltanto portatore di sofferenze personali ma anche di sofferenze sociali ed economiche.

Alfred Hoche 

 

Da un lato il malato provocava sofferenze nei suoi parenti e – dall’altro – sottraeva importanti risorse economiche che sarebbero state più utilmente utilizzate per le persone sane. Lo Stato dunque – arbitro della distribuzione delle ricchezze – doveva farsi carico del problema che questi malati rappresentavano. Ucciderli avrebbe così ottenuto un duplice vantaggio: porre fine alla sofferenza personale e consentire una distribuzione più razionale ed utile delle risorse economiche.

 

Emmi G., di soli 16 anni, fu una delle 70.000 vittime del programma T4.

Giudicata “schizofrenica” venne sterilizzata. Successivamente venne uccisa con una overdose di tranquillanti.

 

Per approfondire:

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