Vite in fuga. Gli ebrei di Fort Ontario

Vite in fuga

Gli ebrei di Fort Ontario

I am a refugee, just a single world. The meaning of the word refugee can be understood only by those who have heart and are willing to understand.

Dolly Sochaczewska – polacca, rifugiata, salpata da Napoli sulla Henry Gibbins

Premessa

Nel contesto della Seconda Guerra Mondiale e dell’ormai avviato processo che avrebbe portato, secondo i piani nazisti, alla Endlösung, la “Soluzione Finale”, si decise il destino di milioni di persone. Molte vite, come è stato ampiamente documentato, finirono in quella che Art Spiegelmann, nel suo Maus [1], ha definito “trappola per topi”; molte altre sono riuscite a sottrarsi ad una morte certa fuggendo, cercando di rifugiarsi nei posti e con i mezzi più disparati, imbarcandosi per la Palestina, tentando di filtrare attraverso le strette maglie del controllo nazista, ma anche di quello del governo fascista italiano e di quello collaborazionista francese.

Facendo riferimento all’Italia, la decisione di Mussolini e del PNF di ricorrere al cosiddetto “internamento libero”, oltre che alla costituzione di diversi campi di concentramento disseminati, in una prima fase, soprattutto al centro-sud, diede agli ebrei internati, molti dei quali in fuga da stati nel frattempo occupati dalle truppe tedesche, la sensazione di aver trovato una sorta di rifugio, sicuramente duro, restrittivo, “precario”, usando un aggettivo caro a Klaus Voigt, ma che poteva trasmettere addirittura un senso di protezione, negli stessi anni in cui si andava definendo ed attuando in Europa quella che oggi conosciamo come Shoah.

Su queste vicende è possibile consultare lo studio di Voigt [2] e, per quel che concerne il nesso tra le vicende internazionali e la storia della Provincia di Vicenza, il lavoro di Paolo Tagini, Le poche cose [3].

Gli ebrei nel Vicentino

All’interno di questo filone di ricerca, molte sono le questioni da approfondire e da chiarire. In particolare vanno analizzate le modalità con cui, dopo l’8 settembre 1943, migliaia di ebrei internati nei campi e nei comuni siano riusciti a sfuggire alle retate, agli arresti e alla deportazione. Nella sola provincia di Vicenza, su 620 ebrei presenti nel vicentino [4], 45 furono le persone arrestate e detenute nel Campo di Tonezza del Cimone [5]: 40 di loro [6] finirono ad Auschwitz. Se si escludono altri 17 ebrei [7], precedentemente internati nel vicentino e uccisi in Italia o arrestati durante la fuga e deportati ad Auschwitz, resta da capire come si siano messe in salvo gli altri ebrei. Alcune storie sono state ricostruite ed è ormai noto che molti si salvarono grazie agli aiuti della popolazione locale, ai partigiani [8] o riuscendo ad organizzare delle fughe clandestine verso la Svizzera, il Sud Italia o altri paesi come l’Argentina.

Il progetto di Roosevelt

In questo complesso di storie, risulta poco conosciuto l’intreccio tra le vicende europee, quelle della provincia di Vicenza ed alcune decisioni prese dal Presidente degli Stati Uniti, Franklin Delano Roosevelt. Nel 1944, con la guerra che volgeva a favore degli Alleati, il Presidente decise di compiere un gesto simbolico. Fu così che il suo Ministro degli Interni, Harold Ickes, mandò l’Assistente Speciale Ruth Gruber in Italia per portare negli USA circa 1000 rifugiati. La Gruber, nel suo libro Haven [9], non solo ricostruisce i fatti da lei vissuti in prima persona e che hanno dato la possibilità ai rifugiati di trovare riparo negli USA, ma documenta quale fosse negli USA il grado di conoscenza dello sterminio in atto ed anche il dibattito interno tra gli “isolazionisti” e chi avrebbe voluto che gli Stati Uniti assumessero un ruolo di guida nell’operazione di salvezza dei rifugiati ebrei e non. Le notizie riguardanti il piano di sterminio degli ebrei erano filtrate negli USA già dall’estate del 1942 [10], ma solo due anni più tardi si mise in moto la macchina amministrativa che permise di compiere una missione non semplice, ma che portò alla sicura salvezza solo un piccolo gruppo di persone rispetto al numero di rifugiati presenti nel Sud Italia nell’estate del 1944, quando le regioni meridionali erano oramai libere.

 

Tutta la storia del campo di Fort Ontario e degli ebrei partiti dall’Italia è stata ricostruita nel libro di Antonio Spinelli, Vite in fuga. Gli ebrei di Fort Ontario tra il silenzio degli alleati e la persecuzione nazifascista (Cierre, 2015) 

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Note

[1] Spiegelman A., Maus, Einaudi Tascabili, Torino 2000. Trappola per topi è il titolo del sesto capitolo.

[2] Voigt K., Il rifugio precarioGli esuli in Italia dal 1933 al 1945 (vol. 2), La Nuova Italia, Scandicci 1996.

[3] Tagini P., Le poche cose, CIERRE, Sommacampagna (VR) 2006.

[4] Si veda la specifica sezione del sito. Ai 616 ebrei internati, possono essere aggiunti 5 ebrei che non furono internati, ma che furono arrestati e deportati dalla provincia di Vicenza.

[5] Si veda Spinelli A., Il campo di concentramento provinciale di Tonezza del Cimone in Tagini P., cit., pp. 191-226.

[6] Gli ebrei consegnati ai tedeschi furono 43, ma la famiglia Landmann, composta da tre persone di cui una “ariana”, non fu deportata. Si veda Tagini P., cit., pp. 227-228 e pp. 231-233.

[7] Si tratta di 10 ebrei già internati nel vicentino e arrestati durante la fuga in diverse località italiane (Raimondo Abramo Arbisser, Rosabella Jakobstam, Leopoldo e Paolo SchapiraKarl Nasch, Richard Nelken, Paul PokorniRuth e Fanny Ulmann, Irene Zausmer); 3 ebrei uccisi alle Fosse Ardeatine (Schachone e Peisach Wald , padre e figlio, già internati a Roana; Marian Reicher  internato ad Enego); Leon Steinlauf internato a Valli del Pasubio, entrato nelle file partigiane dopo l’armistizio e ucciso nell’aprile del 1945 da fascisti; 1 detenuto prima a Tonezza e poi nel campo di Bolzano dove motì (Ettore Graziani), 1 detenuto alla risiera di San Sabba e deportato (Nicolò Sagi); 1 detenuto nel campo di Bolzano e poi liberato (Emanuele Fleischmann). Oltre a quest’ultimo, gli unici sopravvissuti, non solo degli ebrei qui citati, ma di tutti gli ebrei già internati in provincia di Vicenza e poi deportati, furono Arbisser e Zausmer. Tre soli sopravvissuti, quindi, su 53 deportati (il 3,77%).

[8] Si consulti la sezione Giusti del sito. Si veda anche Gutman I., Rivlin B. (a cura di ), I giusti d’Italia. I non ebrei che salvarono gli ebrei 1943-1945, Mondadori, Milano 2006.

[9] Gruber R., Haven: the dramatic story of 1000 World War II refugees and how they came to America, Three river press, New York 2000 (edizione rivista e aggiornata).

[10] Gruber R., cit., capitolo 2. Si vedano i riferimenti ai cablogrammi dell’8 agosto 1942 (p. 17), nonché ai cablogrammi 482 e 354 del gennaio e febbraio 1943 (p. 18-19).

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