Storie – Cittadella

Storie

Cittadella

 

 

1. La famiglia Lederer

 

2. Laura Gluch Behrmann

Non molte le informazioni nel caso di Laura Gluch Behrmann. Una manciata di documenti concentrati tra luglio e settembre del 1943 restituisce uno spaccato drammatico della situazione nella ex Jugoslavia e nello stesso tempo mostrano quanto possano essere diversificate le scelte dei singoli ebrei pur in un quadro ridotto di alternative disponibili. Il 31 luglio 1943, in un periodo decisamente differito rispetto a quello degli altri internati, Vittorelli presentò al Ministero ciò che la stessa Laura aveva esposto alla Questura, dove si era presentata spontaneamente il 22. Era partita da Zagabria tre settimane prima [1] per sfuggire al pericolo di morte imminente che incombeva come appartenente alla razza ebraica”. Il verbale dell’interrogatorio allegato alla comunicazione di Vittorelli offre una ricostruzione in soggettiva:

(…) partii a piedi da Zagabria dove abitavo in via Prilaz Baruna Filipovica 75 (…) mio marito ed i suoi genitori furono arrestati nel settembre 1941 e della loro sorte non ho più saputo niente. A mezzo di un croato, al quale versai circa cinquemila kune, sono entrata il giorno 20 clandestinamente in Italia, credo, dal valico di Postumia. Ho poi preso a Trieste il treno diretto a Padova, città che conoscevo avendola visitata nel 1929 durante il viaggio di nozze. Mio marito a Zagabria esercitava la professione di orefice ed io vivevo con lui. Non ho figli: fui in Italia, come ho detto, solo nel 1929 per visitare Venezia, Padova, Milano e Genova. Ho con me il certificato di nascita e quello di matrimonio. Non sono compromessa col mio Governo o con altri governi per atti politici: sono fuggita, ripeto, perché come appartenente alla razza ebraica ero perseguitata. Non desidero rientrare in Croazia ma di essere internata in una località italiana. Sono conosciuta dal V. Console d’Italia a Zagabria: Denali. Non ho altro da dire.

È evidente che il testo risente delle domande poste dal Vice Commissario di Pubblica Sicurezza, Alessandro Lo Nigro, considerato il modo in cui il testo è stato assemblato. Non di meno, la tragicità dei fatti emerge in tutta la sua durezza.

Il 13 agosto il Ministero decise di internare Laura, a sue spese, in un comune “non militarmente importante” del padovano [2]. Il 7 settembre il Comune di Cittadella munì Laura del foglio di soggiorno n. 76 [3], dopo aver ricevuto la relativa comunicazione del questore Agugliaro [4], per poi chiudere la pratica notificando alla Questura l’avvenuto internamento dell’ebrea croata [5].

Se, come si vedrà, gli archivi consegnano la vita di Langstein priva di origini, quella della Gluch sembra non avere sbocco. Si vede entrare in scena una donna sola che iniziò il suo periodo di internamento il giorno prima dell’armistizio e che era fuggita da Zagabria tra la fine di giugno e gli inizi di luglio per ritrovarsi nel caos e nella trappola dell’autunno 1943. È noto comunque che Laura si salvò. Alcune tracce datano la sua fuga al 22 novembre e la sua presenza a Roma a fine 1944 [6].

Un’ultima osservazione. A Fratta Polesine era internato, con la moglie Sofia Fogelman, Giacomo Gluch, i cui genitori corrispondo a quelli di Laura [7] e che è nato, come lei, a Sambor, tre anni prima. Ad ottobre del 1943 si trovavano ancora a Fratta ma poi si diressero a sud. Infatti, Giacomo risultava a Pescara nel 1944, mentre Sofia Fogelman era a Milano nel 1945. Elementi frammentari che però non si escludono tra di loro e che potrebbero comporre un quadro di fuga verso sud, come per molti ebrei internati in Veneto, con una tappa lungo l’Adriatico e un passaggio successivo a Roma. Il fascicolo di Giacomo Gluch, come quello di Laura, non riporta nessuna notizia sulla loro parentela né sui movimenti che portarono il fratello a fuggire con la moglie dalla Croazia per spostarsi a Lubiana da dove sarà poi internato nell’ottobre 1941 in provincia di Rovigo [8], mentre Laura rimaneva a Zagabria, probabilmente per assistere, con il marito, i suoceri. Supposizioni. Fili che si tendono e cercano nodi, ma restano sospesi sul silenzio dei documenti e mostrano ancor più l’impossibilità della completezza.

 

NOTE

[1] ACS, MI DGPS DAGR, A4 bis, b. 136, fascicolo “Gluck Laura di Adolfo in Bernmann”, 31 luglio 1943.

[2] Ivi, 13 agosto 1943.

[3] ACC, 7 settembre 1943.

[4] Ivi, 3 settembre 1943.

[5] Ivi, 13 settembre 1943.

[6] Dati presenti su www.annapizzuti.it.

[7] I genitori di Giacomo risultano Adolfo e Wessemberg / Viseberg Eugenia; quelli di Laura, Adolfo e Weisenberg Eugenia.

[8] ACS, MI DGPS DAGR, A4 bis, b. 136, fascicolo “Gluch Giacomo di Alfredo e moglie”.

 

 

3. Rudolf Langstein

Anche il caso di Rudolf Langstein è esemplificativo di una storia non ricostruibile. Scarse le tracce, pochissimi i documenti e quindi le informazioni disponibili per poter disegnare almeno i contorni della sua vita. Eppure nei quattro documenti presenti all’Archivio Centrale dello Stato di Roma non mancano alcuni dati inaspettati.

Alla fine della guerra, dal suo domicilio in via San Francesco 67, presso Monici a Padova [1], Rudolf scrisse al Ministero per chiedere il sussidio che spettava agli ex internati per il periodo dall’8 settembre al termine del conflitto [2]. Nel motivare la sua istanza, pennella frammenti di vissuto che val la pena di evidenziare. Dopo l’armistizio lasciò Cittadella per dirigersi verso la campagna ed in particolare nella frazione Giarabassa di San Giorgio in Bosco. Lì visse presso alcuni contadini senza ovviamente rilevare loro chi fosse per non rischiare di finire nel mirino dei fascisti. Ad un certo punto, un amico di Cittadella gli fece presente che i Carabinieri lo stavano cercando per il pagamento del sussidio che lui aveva chiesto ad agosto [3], ma Rudolf pensò bene di non presentarsi perché temeva si trattasse di una trappola. Non è dato sapere quali siano stati i pensieri maturati nel frattempo, ma Langstein afferma di essersi unito ai partigiani proprio a Giarabassa disarmando alcuni tedeschi nella zona [4]. Né c’è la possibilità di avere dei riscontri sulla sua partecipazione alla Resistenza, eppure non è qualcosa che si possa escludere dato che non sarebbe l’unico caso di ebreo internato ad aver fatto una scelta simile. Inoltre, il sussidio veniva comunque elargito dallo Stato italiano sulla base di un documento rilasciato dal comune di internamento e non c’era quindi motivo di imbastire particolari ricostruzioni per convincere gli uffici del fatto che meritava di ottenerlo. Si può incrociare il resoconto con la risposta che la Prefettura di Padova [5] inviò il 2 agosto, su sollecitazione del Ministero, sulla situazione di Rudolf. Langstein era giunto ad Abano, proveniente da Spalato, con un’autorizzazione ministeriale del 2 settembre 1942 per delle cure termali. Due mesi dopo produsse una domanda per essere internato a sue spese, in una città dell’Italia centrale o settentrionale adducendo come motivazione la necessità di ricevere cure ospedaliere. Le Prefetture coinvolte si opposero all’arrivo di Rudolf e a quel punto fu lasciata a lui la scelta della località in cui trasferirsi. Rimase così a Cittadella fino al 18 settembre 1943 “data in cui si rese irreperibile per i noti provvedimenti razziali” [6]. Il prefetto concluse dicendo che non era considerato internato e di conseguenza non aveva percepito un sussidio. Se quest’ultimo dato spiega la preoccupazione di Rudolf nel sottolineare i suoi meriti al momento della richiesta del sussidio, gettando una luce diversa su quel documento, il fatto che un ebreo straniero non fosse considerato internato lascia interdetti. Questo aspetto fa pensare da una parte al ruolo del prefetto Vittorelli e del controllo del territorio da parte della Questura, dall’altra alla prassi di consentire la permanenza degli ebrei stranieri nel caso in cui potessero vivere con le proprie risorse. Ovviamente non essendoci altri documenti è difficile avanzare ipotesi che si possano avvicinare alla realtà storica. Fatto sta che la situazione di Langstein a quel punto cambiava perché, non essendo un internato, non rientrava nella casistica di chi poteva ricevere il sussidio in base alla circolare n. 451/1731 del 14 agosto 1944 [7] e, infatti, la risposta del Ministero fu negativa.

NOTE

[1] Potrebbe trattarsi dei Monici che aiutarono i Trentin a nascondersi a Padova prima del loro arresto. L’indirizzo non è lo stesso dato che nel caso dei Trentin è via del Santo 47. Luigi Monici, il 7 agosto 1945, fu designato a Padova come direttore del Raci e vicecommissario dell’Ufficio trasporti. Si veda Filiberto Agostini, Il governo locale nel Veneto all’indomani della liberazione. Strutture, uomini e programmi, Milano, Franco Angeli 2012, p. 455.

[2] Langstein lo chiese da ottobre 1943 al 22 giugno 1945.

[3] La richiesta era stata accolta a ottobre.

[4] ACS, MI DGPS DAGR, A16 1944-1946, b. 55, fascicolo “Langstein Rudolf di Francesco”, 22 giugno 1945.

[5] All’epoca dei fatti il prefetto (del CNL) era l’avvocato Gavino Sabadin.

[6] ACS, 2 agosto 1945.

[7] Ivi, 24 agosto 1945. Testo della circolare n. 451/1731 del 14 agosto 1944: “Ministero dell’Interno, DGPS ai prefetti dell’Italia liberata e p.c. agli alti commissari per la Sicilia e la Sardegna. Oggetto: sussidio ex confinati o ex internati politici. Facendo seguito al telegramma n. 441/010560 del 14 aprile u.s. si comunica che il ministero, allo scopo di rendere uniforme il trattamento di soccorso agli ex confinati o agli ex internati politici, connazionali o di altre nazionalità, che in dipendenza dei noti eventi siano venuti a trovarsi nell’impossibilità di raggiungere la propria residenza, di adeguare tale soccorso al maggior costo della vita, dispone che, con decorrenza 1° aprile u.s. la misura del sussidio per le cennate categorie resta fissata in L. 30 agli ex internati o confinati politici – capi di famiglia non conviventi in comunità e di 20 per ciascun altro membro della famiglia a carico, coabitante col capofamiglia. L.25 agli ex confinati o internati politici, capi di famiglia e L. 15 per ciascun altro membro della famiglia a carico, che vivono in comunità nei campi appositamente allestiti dalle autorità alleate. Resta abolita l’indennità di alloggio di L. 50. Al trattamento di sussidio devono, beninteso, essere ammessi solo gli ex confinati o internati politici prosciolti per gli avvenimenti successivi al 25 luglio u.s. o impossibilitati a riportarsi al proprio domicilio e non tutti gli altri che siano in passato soggetti al provvedimento d’internamento o di confino politico e lo abbiano ultimato e ne siano stati prosciolti (e siano tornati?) alla loro sede di residenza o dei loro affari. Per i connazionali la predetta concessione dovrà essere subordinata alle condizioni di assoluta indigenza, mentre per gli altri appartenenti alle altre nazionalità il sussidio dovrà essere corrisposto anche quando non ricorrano le condizioni di assoluta indigenza, e ciò fino a quando gli assistiti stessi non siano in grado di raggiungere la propria residenza o riprendere le loro normali occupazioni. (….) A tutti coloro che, per i noti eventi, non sia stato più corrisposto il sussidio, dal 1 settembre 1943, potranno essere corrisposti gli arretrati nella misura precedentemente stabilita di L. 9 al capofamiglia, L.5 alla moglie o congiunti maggiorenni e L. 4 ai figli ed ai congiunti minorenni, oltre l’indennità fissa mensile di alloggio di L. 50 per il capofamiglia, qualora dagli accertamenti disposti risulti in modo evidente che ne abbiano diritto. (…) Al pagamento sarà provveduto mediante gli Enti Comunali di Assistenza ai quali potranno essere fatte delle anticipazioni, da prelevarsi dai fondi in genere. Gli ECA dovranno tenere la contabilità separata per categoria degli assistiti (ex confinati o ex internati) o per nazionalità degli stessi. (…)” In realtà una successiva comunicazione del prefetto di Lucca all’ufficio interalleato per la carità e la beneficenza, datata 4 novembre 1944, fornisce qualche chiarimento sulla situazione degli ebrei: “Come è noto il Ministero dell’Interno con circolare 14 agosto 1944 n.451/1731 ha disciplinato il nuovo trattamento economico da farsi a decorrere dal 1° aprile 1944 ai cittadini italiani ex-confinati ed ex internati politici che si trovano nelle condizioni di indigenza e nella impossibilità di raggiungere la loro residenza. Pei sudditi esteri l’assistenza va prestata anche quando non ricorrano le condizioni di assoluta indigenza. Ora, in seguito alle istruzioni verbali impartite da codesto Ufficio secondo le quali alle persone di razza (sic) ebraica che si trovano in questa provincia e che non possono ancora raggiungere la loro residenza, persone indicate in apposito elenco, deve essere fatto il trattamento previsto per gli ex internati dalla circolare suindicata, anche se non consti che sia avvenuto realmente il loro internamento, questa Prefettura ha iniziato gli atti per dare corso alle istruzioni stesse”. Si veda http://www.annapizzuti.it/documenti/guerrafinita.php e Victoria C., Belco, War, Massacre, and Recovery in Central Italy, 1943-1948, University of Toronto Press, 2010, pp. 164-165.

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